Italia polveriera piena di armi nascoste. Da quelle sparite in Val di Susa al traffico clandestino dal Kossovo via Bulgaria. Chi le ha comprate?
Due uomini camminavano guardinghi nei pressi di località Selvaggio, vicino a Giaveno, bassa Valle di Susa tra gli ottocento e i mille duecento metri sul livello del mare. Il Monte Musinè, magico secondo alcune leggende popolari, “No Tav” stando alla grande scritta che da 10 anni campeggia sul crinale, dominava la zona. I due, vecchi amici e compagni del Pci di Pietro Secchia, il capo della struttura militare interna, usavano ancora il codice di allora:”Andiamo a funghi?”. In realtà si stavano dirigendo verso la baita, la Baita di Selvaggio, appunto. Nella mappa militare della Gladio Rossa quel casolare di montagna aveva un significato molto particolare: era uno dei depositi di armi più importanti del Pci del dopoguerra. Pistole, bombe a mano, fucili non solo italiani. Ancora negli anni Novanta, nonostante fosse caduto il Muro di Berlino, nella Valle dei misteri, qualcuno di tanto in tanto apriva quella porta per assicurarsi che fosse tutto in ordine. I due vecchi compagni quel posto lo conoscevano molto bene: “quanti 25 aprile ci abbiamo festeggiato! E quante volte siamo andati a funghi”, dice oggi Sasà, “comunista terrone”, ma con un grande ruolo nell’apparato perché sapeva e poteva tutto. E che sorpresa quando, nei primi giorni di novembre, dopo aver aperto la porta trovarono il vuoto assoluto. Le armi non c’erano più. Qualcuno se l’era prese. “Noi due” dice Sasà “ci eravamo andati proprio per fare pulizia: l’allarme lanciato dal Presidente della Repubblica il quattro novembre su possibili rivolgimenti violenti nel nostro Paese, ci aveva preoccupato. Il terrorismo ha sempre avuto coperture in questa zona, volevamo evitare che qualcuno si ricordasse della baita. Siamo arrivati tardi. E questo ci fa stare in ansia”. In effetti le informazioni che arrivano dagli apparati investigativi, le notizie nei siti “antagonisti”, le liti all’interno dei gruppi di ultras del calcio, le connessioni internazionali tra realtà giovanili, gli italiani, già almeno cinquanta, che si stanno arruolando nell’esercito di Al Bagdadi, le minacce neanche tanto velate che arrivano da movimenti di cittadini, come i 24 secessionisti veneti tra cui un ex capo dei Forconi arrestati il due aprile 2014 accusati anche di fabbricazione di armi da guerra, fotografano una realtà sociale che ha voglia di armi. Che ha voglia di conflitti violenti. Che non vede l’ora si sparare. Purtroppo. Ed è anche per questo che Giorgio Napolitano, un settimana dopo il quattro novembre, ha ripetuto con ancora più determinazione l’appello all’Esercito: ”osmosi tra gruppi terroristici internazionali e realtà violente interne potrebbero aver bisogno del vostro intervento sia preventivo che repressivo” ha detto il Presidente. “Sta iniziando un film già visto, quello degli anni di piombo” dice un operatore della Polizia di Stato che da 30 anni si occupa di ordine pubblico “con una variante che rende tutto più complicato: la situazione sociale rispetto agli anni settanta e ottanta è terrificante e la possibilità che il terrorismo diventi un fatto diffuso e quotidiano in una popolazione allo stremo, è una possibilità verosimile”. Sullo sfondo c’è il più grande sbarco clandestino di armi sulle coste italiane. Attraverso la Bulgaria sono arrivati armamenti sufficienti a rifornire un’intera armata: sono “gli avanzi” della guerra in Kossovo, in parte già finiti nelle mani di Isis. Un traffico senza precedenti che sta mettendo in allarme tutti i Paesi europei, e l’Italia in particolare, anche per le modalità con cui l’organizzazione criminale si è impossessata di quelle armi: attraverso il sequestro di persona. Con un’inquietante aggiunta: dire Kossovo significa dire proiettili all’uranio impoverito.
I servizi segreti europei sono un po’ nel pallone: non è chiara la destinazione finale di questi strumenti bellici che consentiranno sicuramente un salto di qualità a gruppi di varia estrazione, non solo politica. Il fallito assalto al portavalori sull’autostrada A1, tra Lodi e Piacenza, il 27 novembre scorso, è stato il battesimo di fuoco di quelle armi. La rapina da cinque milioni di euro doveva servire a finanziare una cellula terroristica. Armi vere e sofisticate per chi ha già scelto la modalità violenta, come i protagonisti dell’assalto No Tav ai cantieri dell’alta velocità vicino a Chiomonte, nei boschi di Giaglione, il 13 maggio 2013. In quell’occasione fu usato un mortaio fatto in casa: è stata un’azione ben organizzata, non improvvisata, dichiarò il capo della Digos Bruno Megale.
Un rapporto di una decina di anni fa metteva in guardia su quali sarebbero stati, se si fossero verificati momenti di forte crisi economica e di tensione sociale, i punti sensibili da cui potevano partire reazioni a catena. Le curve degli stadi, i comitati di disoccupati, i quartieri di edilizia popolare, i centri sociali e, soprattutto, i nuovi movimenti di cittadini organizzati. Giuseppe, ha chiesto di essere chiamato così perché non vuole essere riconosciuto nella piccola città di provincia dove vive, sta facendo un master di economia a Milano. Milita attivamente in un gruppo di ultras del calcio, non ha alcuno problema a dichiararsi di destra e di simpatizzare con i No tav, “quelli però che ci credono davvero”. Secondo Giuseppe nelle curve si portano esattamente i vissuti di tutti i giorni e la battaglia contro le forze dell’ordine è “nella quotidianità oramai ed è ciò che unisce le tifoserie anche di squadre diverse. Insomma il mondo ultras è influenzato dall’odio, dalla voglia di ribellione. Ora, però sono saltate le regole. Per esempio: se un tifoso resta a terra ferito si infierisce su di lui a calci e a pugni. In curva si stanno infiltrando forze diverse, delinquenti abituali. Le armi non sono più solo aste di ferro e coltelli. Pistole, si vedono le pistole. Non so che cosa potrebbe succedere prima o poi in uno scontro con le forze dell’ordine, o tra tifoserie di segno opposto, per esempio tra gli estremisti di sinistra del Livorno e quelli di destra della Lazio, della Roma, dell’Ascoli, del Verona… Sì, oramai politicamente è diventata di destra anche gran parte della curva della Roma…”. Ancora più allarmante quello che dice un ultras pugliese :”Nelle grandi città le tifoserie sono infiltrate da organizzazioni paramilitari di delinquenti”. I Boys dell’Inter sono consapevoli di questo rischio e, per primi, hanno iniziato una campagna di “trasparenza”, di “non-violenza” e di pacificazione con tifoserie tradizionalmente avversarie. “Il punto è uno solo” dice un Boys ”Dobbiamo tornare allo stadio per guardare la partita. Oramai la deriva è assurda: si va in curva per la violenza fine a se stessa. C’è gente che esce dallo stadio e non sa neanche il risultato finale”. Ma non basta tanta buona volontà. La rissa nel corso della quale il tre maggio 2014 a Roma, durante la finale di Coppa Italia tra la Fiorentina e il Napoli, è stato ferito a morte fuori dallo stadio il tifoso napoletano Ciro Esposito, ha raccontato all’Italia che un altro tifoso, Daniele De Sanctis, era stato accerchiato, accoltellato nell’addome e in faccia, e che gli erano state messe bombe carta nelle scarpe, e che questo aveva sparato con una pistola. Non solo: sul posto sarebbero state trovate almeno altre due pistole (c’è chi parla di quattro). “Il daspo (divieto di accedere alle manifestazioni sportive ndr) serve a poco” dice un altro tifoso “la guerra si combatte oramai fuori dallo stadio e sarà sempre più dura. Andate a vedere chi c’era a fare a mazzate a Bergamo durante Atalanta-Roma, il 26 novembre: erano tutti daspati”. Gli investigatori vedono sempre più frequentemente connessioni di tipo strutturale di tifoserie italiane con le realtà “hooligans”estreme dell’est europa e non solo dove leader come il serbo Ivan Bogdanov, arrestato dopo la partita del 12 ottobre 2010, a Genova, Italia-Serbia, sono esattamente capi militari. I servizi segreti stanno monitorando piccole realtà italiane che si stanno collegando a gruppi molto organizzati , che a volte hanno risvolti pseudo politici, come il coordinamento dei tifosi neonazi “antislamici e antisalafiti” che hanno provocato violenti scontri con le Forze dell’ordine in Germania o come le cosiddette milizie neonazi ucraine, veri battaglioni di mercenari abili con le armi e con le arti marziali. Così gli ultras della squadra ucraina Dinamo Kiev vengono celebrati come “tosti” perché sono addestrati al punto da partire per il fronte a combattere contro i soldati di Putin, per non parlare degli adolescenti russi che vogliono entrare nella curva dello Spartak Mosca. Il loro rito di iniziazione è da corpi speciali dell’esercito: scontrarsi fisicamente dieci contro dieci, a torso nudo nei parchi, d’inverno. Soltanto chi resterà in piedi sulla neve potrà andare in curva. Il rischio temuto dal Ministero degli Interni, insomma, è che le partite di calcio verranno presto “accompagnate” da battaglie tra piccoli eserciti armati. “Possibile” dice Giuseppe. “Attenzione però, questi piccoli eserciti armati avranno tutti un nemico comune: gli sbirri, cioè lo Stato”. Lo stesso nemico di chi ha fatto sparire le armi in Val di Susa, lo stesso nemico dei nuovi gruppi armati di cui ancora si sa poco o nulla…
Marco Gregoretti
(Ha collaborato Giuseppe De Lorenzo)