Prosegue la rubrica che curo per il magazine settimanale della trasmissione di Rete 4 Quarto Grado condotta da Gianluigi Nuzzi insieme ad Alessandra Viero e curata da Siria Magri. Sul numero otto, in edicola da mercoledì 1 luglio 2015, l’omicidio di Marta Russo, 22 anni, studentessa universitaria e campionessa di scherma, uccisa da un proiettile calibro 22 il nove maggio 1997, mentre con un’amica attraversava i vialetti dell’Università romana La Sapienza.
MG
Se quell’omicidio fosse lo spunto di un romanzo molto criminale potremmo anche scrivere che la giovane vittima fu uccisa perché aveva scoperto loschi traffici all’Università della Sapienza, a Roma. E che stesse per denunciarli all’Autorità giudiziaria. Ma, come si dice nei casi che restano avvolti dalla nebbia dei punti interrogativi, stiamo ai fatti: Marta Russo morì all’Ospedale dopo essere stata colpita alla testa da un proiettile calibro 22 che qualcuno sparò dall’alto alle 11,42 del nove maggio 1997. La giovane vittima, che aveva compiuto 22 anni da un mese, stava percorrendo i vialetti dell’Università insieme alla sua amica, Jolanda Ricci, vicino alle Facoltà di Scienze statistiche, di Scienze politiche e di Giurisprudenza, che lei frequentava. Forse stava pensando alla sua ultima gara di scherma, di cui era stata campionessa regionale. Un pensiero interrotto, per sempre, bruscamente. L’ambulanza la trasportò a sirene spiegate al Policlinico Umberto primo. Dopo 5 giorni, il 14 maggio, fu staccata la spina: la morte cerebrale non lasciava più speranze. Alla fine dei tre gradi di giudizio, il 15 dicembre 2003, furono condannati, per omicidio colposo, due giovani assistenti universitari: Giovanni Scattone (29 all’epoca dei fatti), a cinque anni e quattro mesi, e Salvatore Ferraro(30) a quattro anni e due mesi. Un terzo imputato, l’usciere, e oggi avvocato, Francesco Liparota, fu assolto dall’accusa di favoreggiamento.
In realtà l’omicidio di Marta Russo resta una delle vicende di cronaca più controverse e per certi versi misteriose della storia giudiziaria recente. La coincidenza con la data dell’anniversario dell’uccisione di Aldo Moro (9 maggio 1978), la presenza alla Sapienza di alcuni elementi delle nuove Brigate Rosse che qualche anno dopo, nel 1999, uccisero il giuslavorista nonché docente dell’Università romana Massimo D’Antona, fecero inizialmente ritenere che potesse trattarsi di un sanguinario avvertimento terroristico. Si parlò poi, come accade ogni volta che viene ucciso qualcuno a Roma, della banda della Magliana, infine vennero svolte indagini sul corpo docente. Fino a quando gli investigatori si concentrarono sulla pista del delitto casuale e involontario che portò a processo Scattone, Ferraro e, per favoreggiamento, Liparota. Si formò un fronte innocentista molto ampio e trasversale. Scese in campo il partito radicale, il direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli scrisse che Scattone e Ferraro erano “manifestatamente innocenti”. I dubbi riguardavano gli elementi investigativi carenti, come l’arma del delitto mai ritrovata e la ricostruzione lacunosa della scena del crimine: l’aula sei, come risultò a sentenza, o la toilette di Statistica al secondo piano? Molto contestate furono anche le testimonianze. In particolar modo quelle di Maria Chiara Lipari, assistente del professor Bruno Romano, inizialmente coinvolto nelle indagini, e di Gabriella Alletto, impiegata alla Sapienza. Quest’ultima secondo gli investigatori e il pubblico ministero Carlo Lasperanza si trovava nell’aula sei insieme a Scattone e Ferraro la mattina del nove maggio 1997. Ma lei negò con forza e insistentemente di essere stata a quell’ora in quell’aula e di non aver visto, dunque, nulla. Poi cambiò versione e la sua testimonianza fu decisiva per l’accusa. Un video che fu fatto circolare mostrò l’interrogatorio della Alletto: per gli innocentisti era la prova che la teste stesse subendo pressioni per cambiare versione. I genitori di Marta non contestarono la sentenza. La loro figlia vive ancora in chi ha avuto la fortuna di ricevere i suoi organi. Ferraro, invece, fa il musicista e il giurista e si occupa dell’associazione “Il detenuto ignoto”, mentre Giovanni Scattone insegna filosofia. Entrambi ancora oggi si dichiarano innocenti. Ma, il mistero resta.
Marco Gregoretti