Mia madre aveva 13 anni quando, una notte, entrarono in casa, a Fiume, i maledetti comunisti titini. Insieme a lei c’erano mia nonna e il fratellino più piccolo, che aveva tre anni. Armati, violenti, arroganti e sporchi. Intimarono a una ragazzina appena adolescente, mia madre appunto, di spogliarsi: “Dobbiamo perquisirti, perché chissà dove nascondi l’oro!”. Si trattò di perquisizioni intime. Intanto mio zio, un bambino piccolo, aveva una pistola titina puntata alla tempia. “Dove tenete l’oro!!!” urlavano a mia nonna. “Se non ce lo dici gli facciamo saltare la testa!”. Era piccoletta, ma tosta come l’acciaio, mia nonna. E poi l’oro non l’avevano mai visto neanche dipinto. Fortunatamente l’altro mio zio e l’altra mia zia, di 11 e di 8 anni, non c’erano. Mio nonno, invece, era nascosto a casa di un amico ebreo, che lui aveva salvato dai nazisti. L’amico lo aveva avvertito che stavano andando a prenderlo per buttarlo nella Foiba, dove, a quanto ne sappiamo finì il fratello di mio nonno, e gli aveva offerto un rifugio sicuro. Quando i titini lo trovarono lo portarono in un campo di concentramento, da dove uscì, lui atleta e gioioso, minato nel fisico e nella mente. Poi mia mamma, mia nonna, i miei zii furono sbattuti su un carro e vennero privati di ogni avere: l’appartamento, i soldi, gli oggetti. Chissà quante cose finirono nel Magazzino 18 di Trieste di cui ci ha raccontato mirabilmente Simone Castricchi in un suo spettacolo teatrale. Fiumani duri i miei famigliari, soprattutto le donne. Mia madre e mia nonna in testa. Arrivarono da profughi a Genova dove furono capaci di ricostruire con gli interessi tutto ciò che avevano perduto. E dove sono nato io. Sì, chi nega questo dramma è un vero stronzo
Marco Gregoretti
L’ESODO DALMATA. PHOTOGALLERY
LE FOIBE. PHOTOGALLERY