Lo aveva già fatto due giorni prima, colpendo con un pugno in faccia il medico che era intervenuto in difesa della collega aggredita. L’altro ieri notte, alle tre, si è ripresentato al pronto soccorso dell’ospedale di Codogno, in provincia di Lodi, urlando minacce e richieste. E un altro operatore sanitario se l’è vista brutta. L’aggressore è un ragazzo egiziano di 22 anni, conosciuto dai Carabinieri e dalla Polizia locale per la reiterazione di queste sue azioni: chiamare il 118, farsi portare all’ospedale, e dare in escandescenze. Dall’ufficio comunicazione della Asst (Azienda socio sanitaria territoriale) di Lodi, interpellata da Libero, circoscrivono il commento all’ultimo episodio: “Abbiamo attivato tutti i soggetti territoriali affinché, prendano in carico il giovane 22enne, che ha evidenti problematiche e disagi”. In sostanza si occuperanno di lui assistenti sociali e, probabilmente, servizi psichiatrici. Per avere, invece, un quadro generale della situazione negli ospedali del lodigiano, bisognerà attendere “le comunicazioni della direzione sanitaria”. Purtroppo, però, a Milano, nell’hinterland e nell’intera Regione nei pronto soccorso ospedalieri, medici e personale paramedico vivono in trincea, in un crescendo parossistico di insulti, botte, minacce con coltelli e perfino con pistole. Nei primi cinque mesi del 2022, da gennaio a maggio, si sono verificati circa 400 atti violenti, fisici e verbali, nella sola Milano e hinterland. Praticamente il doppio dell’anno precedente, che già aveva visto un’escalation allarmante. Il Pd si tuffa a pesce, cercando di utilizzare questi dati in campagna elettorale e accusa la Regione di non avere applicato una legge del 2020 (firmatari la piddina Carmela Rozza e il consigliere di Fratelli d’Italia Franco Lucente) sulla sicurezza di chi lavora nelle strutture sanitarie. Risponde Luca Bernardo, primario di Pediatria al Fatebenefratelli: ”ll Pd scopre il problema sicurezza in campagna elettorale, colpevolizzando la Regione Lombardia che, per prima in Italia, ha stanziato un milione e mezzo di euro per installare circa 850 dash cam e body cam sulle ambulanze”.
Il punto vero, però, sembra essere un altro. E ha poco a che fare con le diatribe elettorali: gli operatori sanitari sono stanchi e terrorizzati. E anche preoccupati per la sicurezza dei pazienti. Non si accontentano, oramai, neppure delle rassicurazioni che arrivano dalla Regione, per voce dell’assessore al welfare Letizia Moratti, su iniziative allo studio, come il potenziamento delle telecamere e dei servizi di vigilanza. Il limite di gestibilità sembra oramai superato ovunque. Nell’hinterland, con i picchi di segnalazioni dalle Asst di Rho, di Melegnano e della Martesana e a Milano città, nel pubblico, con i casi a ripetizione negli ospedali Niguarda, San Carlo, San Paolo, Fatebenefratelli e Sacco. E nel privato, come si capisce dallo sfogo che un paramedico del Pronto soccorso di un noto ospedale privato milanese, consegna a Libero: “Ma voi sapete che razza di vita facciamo? Qui rischiamo botte e coltellate ogni giorno. E dovremmo essere un’eccellenza, un’ élite? La gente dopo il lock-down sembra impazzita, violenta, impaziente. Sotto i miei occhi un cocainomane ha preso a pugni un mio collega. Se non ci fossi stato io l’avrebbe ammazzato. È stato arrestato perché qualcuno ha chiamato la Polizia. Una infermiera si è presa una bottigliata in testa ed è stata a letto un mese. Un’altra ha ancora i segni dei morsi sulle braccia. Noi siano stufi. La gente se ne va. Cambia lavoro. Mille persone hanno fatto i bagagli da qui, l’anno scorso”. I racconti di questo operatore sanitario del nuovo pronto soccorso del San Raffaele sono impressionanti. “Dove c’era il vecchio pronto soccorso” racconta a Libero “ora c’è il pronto soccorso ostetrico. Ci stanno ragazze e donne totalmente abbandonate L’altra notte sono arrivati alcuni marocchini armati di coltello e hanno spaccato vetri, urlato… Le ragazze si sono salvate perché sono riuscite a nascondersi”. E siamo al San Raffaele… “Il fatto è che non c’è alcun tipo di controllo” dice ancora a Libero “Non abbiamo neanche il posto fisso della polizia e la vigilanza. O meglio, c è solo sulla carta. Può succedere di tutto a noi, ai medici e ai pazienti. Che aspettano anche otto giorni in barella per avere un posto letto”. Lui e i suoi colleghi hanno una rivendicazione che ritengono oramai improcrastinabile: “Vogliamo il posto di controllo di Polizia e un servizio di vigilanza h 24. O dobbiamo aspettare che ci scappi il morto?”
Si intuiscono bene, quindi, le motivazioni di Marco Bordonali, direttore del pronto soccorso dell’ospedale privato milanese San Giuseppe, che, rilasciando un’intervista all’Agenzia giornalistica Italia (Agi) ha annunciato: ”Me ne vado da Milano, dove si lavora con pochi mezzi, pressati dalla popolazione, a rischio continuo di denunce da parte dei cittadini. Ma anche di aggressioni. Siamo un sacco da prendere a cazzotti. Il pronto soccorso non è più un servizio di emergenza, ma un posto dove viene la gente che non sa dove andare. Il Covid ha fatto emergere un disastro che era latente da almeno quattro anni”. Bordonali prenderà servizio a Erba, in provincia di Como, dove spera di trovare una situazione più sicura. Facciamogli gli auguri, perché non è più tanto vero che la provincia sia sinonimo di pace sociale. L’infermiere pestato mercoledì 17 agosto al pronto soccorso di Mantova, un tempo in cima alla classifica delle città più vivibili, ne sa qualche cosa.
Marco Gregoretti