In due la avvicinarono. Nei pressi di via Mazzini, zona Duomo. Milano. Era con un’amica. I complici, altri due giovani, crearono un rumoroso diversivo per coprire quello che stava per succedere: un abuso sessuale, in gruppo. Almeno 100mila euro è il risarcimento chiesto, ieri, dagli avvocati Silvia Allai e Carlo Pellegri, per una delle vittime della storia passata agli annali come “lo stupro di Capodanno del 2021”. È la ragazza che avrebbe subito gli abusi più gravi. Si è aperta con la costituzione delle parti civili, nella quinta sezione penale del Tribunale di Milano, presieduta da Luisa Savoia, la prima udienza del processo contro Abdallah Bouguedra, 22 anni, residente a Torino difeso dagli avvocati Vinicio Nardo e Stefano Comellini,. Le accuse per lui, che si dichiara innocente, sono violenza sessuale di gruppo, rapina e lesioni. Altri due imputati, Abdel Fatah, 19 anni e Mahmoud Ibrahim 18, hanno scelto il rito abbreviato: la prima udienza, per loro, sarà il 22 dicembre davanti al gup Marta Pollicino. Rappresentato dall’avvocato Federico Bier si è costituito anche il Comune di Milano, “Ente, da molti anni impegnato nella tutela delle donne”.
Il video di quelle ore da incubo, non lasciò dubbi su che cosa subirono le ragazze che erano uscite per festeggiare la fine del 2021. Un branco di giovani di origini straniere le circondarono, le spintonarono le gettarono a terra e abusarono di loro. Le immagini provocarono un rebound con quanto successe a Colonia, la notte di Capodanno del 2016, quando vennero aggredite 662 donne.
A Milano, come nelle città tedesca, si ebbe l’impressione che in quegli atti violenti ci fosse una sorta di premeditazione. Quasi rituale.
Le indagini, coordinate dai pm Letizia Mannella e Alessia Menegazzo, furono condotte dalla Squadra mobile di Milano, che ascoltò numerosi testimoni e analizzò il video dell’orrore. I poliziotti passarono al setaccio ogni frame, soffermandosi anche sull’abbigliamento degli autori di quella “sopraffazione fisica e psicologica su ragazze inermi e impossibilitate a difendersi”. Fu evidenziato come vi fosse anche la deliberata intenzione di aumentare la paura delle vittime attraverso le parole (straniere) e le tonalità con cui venivano pronunciate. “Terrore semantico”, qualcuno lo definì.
Gli investigatori lavorarono a tambur battente. L’indagine si avvalse di avanzate tecnologie, come i software per il riconoscimento facciale. Così, l’11 gennaio di quest’anno, vennero fatte 18 perquisizioni domiciliari. Gli agenti della squadra mobile di Milano e di Torino e dei reparti prevenzione del crimine di Lombardia e del Piemonte entrarono nelle abitazioni dei sospetti e trovarono i riscontri necessari alla identificazione di 18 ragazzi “tra i 15 e i 21 anni, sia stranieri, che italiani di origini nordafricane che a vario titolo si ritiene abbiano partecipato al raid di Capodanno”. Dodici di loro, il giorno dopo, erano già iscritti nel registro degli indagati. Nulla fu tralasciato per fornire al fascicolo d’inchiesta ogni elemento. Fu perfino accertato che gli abiti trovati nelle camerette degli indagati e dei sospettati coincidevano perfettamente con quelli dei giovani del branco. Il 25 gennaio ci furono “ulteriori perquisizioni, sia domiciliari che personali nei confronti di altri cinque: 3 cittadini italiani di origini marocchina e due cittadini marocchini con permesso di soggiorno, di età compresa tra i 19 e i 24 anni”. Ricordiamocelo, però, che quel branco puzza di gruppo organizzato.
Marco Gregoretti
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