Questa è una storia terribile, di sangue e di farmaci psichiatrici. E, temiamo, anche di decisioni frettolose. Ma andiamo con ordine. All’inizio della prossima settimana, forse già domani, lunedì 31 ottobre, Antonio Milia, il brigadiere dei Carabinieri che giovedì 27, nel tardo pomeriggio, ha ucciso con la pistola d’ordinanza, Doriano Furceri, il comandante della caserma di Asso dove, prestava servizio, verrà interrogato dal giudice militare. Dopo l’escussione di venerdì, il fascicolo ora è nelle mani dei procuratori militari di Verona. I reati ipotizzati, per entrambe i codici (penale e penale militare), al momento sarebbero quelli di omicidio, di lesioni e di sequestro di persona.
Ma quello che abbiano scoperto, se verrà confermato processualmente, apre una porta sulla vita di un uomo in totale cortocircuito. Libero ha rintracciato David Colombo, farmacista di Caslino d’Erba, paese a pochi chilometri da Asso, dove Milia acquistava i farmaci psichiatrici prescritti dagli specialisti che lo seguivano almeno da febbraio. “Ancora ad agosto gli ho venduto una confezione di Abilify (principio attivo Aripiprazolo), un potente antipsicotico. Lo prendeva almeno da sei mesi. E non escludo che lo utilizzasse ancora: non si può uscire frettolosamente da quel tipo di terapia. E, comunque, se si interrompe è necessario un lungo e costante supporto psicologico”. Il bugiardino parla chiaro: trattamento per atti psicotici, bipolari e per depressioni maggiori (cioè quelle presenti da tantissimo tempo). Milia era in uno stato di profondo disagio psicologico da quasi quattro anni. Da quando sua madre, cadendo dalle scale, prima andò in coma e poi morì. È lo stesso Colombo, che di Milia è vecchio amico, a ricordarlo: “Per Antonio fu una botta terribile. A cui seguì una situazione di sofferenza personale per motivi affettivi. Me ne parlava. Mi diceva: ma io, a quasi 60 anni, dove vado se resto solo?. Era cambiato. Aveva perso il sorriso. Sempre di più. Per i dolori e per l’assunzione degli antipsicotici. A tratti, irriconoscibile. L’ho visto ancora martedì scorso, due giorni prima del dramma: Mi sembrava stesse un po’ meglio. Un po’… Poi giovedì, quando mia madre ha saputo che stava succedendo qualche cosa alla caserma di Asso, abbiamo capito subito…”.
Il farmacista amico era tra la piccola folla davanti alla stazione dei Carabinieri dove il brigadiere si era asserragliato con gli ostaggi. Anche lui, come l’ex tenente dell’Arma, ora titolare di una agenzia di investigazione (B-team security di Como), Christian Bertossi, intervistato ieri da Libero, ha parlato via smartphone con Milia. “L’ho chiamato alle 21,26” racconta Colombo “Sembrava tranquillo. Parlava come se niente fosse. Mi ha chiesto di essergli amico. Ma questa sua tranquillità emotiva era strana”. Sembrerebbe la descrizione di un loop psicotico da manuale. Vedremo che cosa uscirà dalle perizie vecchie e da quelle nuove. La “pista” psichiatrica è confermata indirettamente anche dalla richiesta dell’assessore regionale Letizia Moratti, di redarre una dettagliata relazione proprio su questo aspetto. “Non si può analizzare quanto è successo soffermandosi semplicemente sugli accadimenti di giovedì sera e notte”, spiega a Libero l’avvocato Roberto Melchiorre che da venerdì mattina difende Milia, “Dobbiamo andare indietro almeno di un anno per capire e per spiegare: le problematiche psichiatriche, il trattamento di cura, il rapporto con la vittima. Non ho in mano neanche una cartella clinica, ancora. Ma non si è trattato di un raptus. C’era una questione con il comandante. Occorre scavare le dinamiche che viveva in ambito lavorativo e non altrove, secondo me”. Nella zona di Como un gossip insistente farebbe circolare la voce che Melchiorre, avvocato di buona fama in quel Foro, ma, soprattutto figlio di Salvatore Melchiorre, ex comandante di Milia, rappresenti gratuitamente l’indagato: “Guardi, non so da che cosa generi questo tam-tam. Le parcelle in questo momento sono l’ultimo dei miei pensieri. Conosco il brigadiere da 35 anni. E io ne ho 40…”. L’avvocato rivela una sua preoccupazione sulla decisione di collocare Milia nel carcere di Como, dove ancora si trova. “Faremo richiesta di trasferimento in una struttura più idonea: il suo stato di disagio non permette di tenerlo in quella casa circondariale”. Non lo dice esplicitamente, ma fa capire che il militare che ha ucciso il proprio comandante potrebbe fare un gesto estremo. Un timore espresso anche da Bertossi. Che anticipa a Libero: “Lunedì invierò una pec all’avvocato Melchiorre per offrire le indagini tecniche gratuitamente. Però, consentitemi, di domande ce ne sarebbero ancora tante”. Una su tutte: perché i reparti speciali sono intervenuti 12 ore dopo?
Marco Gregoretti