Ecco come muoiono gi italiani veri
Di Marco Gregoretti
IL CURRICULUM DI BRUNO GREGORETTI
Bruno Gregoretti nacque a Napoli il 23 maggio 1897 da Ugo Gregoretti e da Maria Cimmino. Entrò all’Accademia Navale di Livorno giovanissimo, nel 1912, a 15 anni.
Nelle note di merito custodite negli archivi della Marina si legge, tra l’atro:
-25 settembre 1942: Croce di guerra la Valor militare
-Encomio del Comandante della Divisione di Fanteria “Messina” Generale di Divisione Guglielmo Spinacci
-Compiacimento dell’Eccellenza il Comandante del Vl Corpo d’Armata e dell’Ammiraglio di Divisione Comandante M.M. della Dalmazia Antonio Bobbiese
-Proposta di promozione per merito di guerra
-Proposta di Medaglia d’argento alla memoria presso Maridalmazia Spalato
-Proposta anche per la concessione della medaglia di bronzo presso il Comando della Marina di Ploce)
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Bruno Gregoretti – documenti
Anche il sette febbraio 1943, come sempre, la giornata del Capitano di porto Bruno Gregoretti iniziò moto presto. Alle sette era già a bordo del XXI° N.A.P. Missione: fare da scorta armata ai due motovelieri La Guardia e San Donato “carichi”, come si legge nei documenti esclusivi che Primato Nazionale ha potuto visionare, “di truppe, cavalli e materiale militare destinati a Spalato”. In sostanza, come tante altre volte, Gregoretti e il suo amato equipaggio dovevano pattugliare le coste dalmate, italiane, in difesa dei due velieri dagli attacchi armati dei comunisti, che allora, nei rapporti, venivano definiti “ribelli”. Il capitano Gregoretti non sapeva ancora che quella sarebbe stata la sua ultima uscita in mare: un proiettile al cuore, dopo poche ore, lo avrebbe fermato per sempre.
La mia famiglia paterna, la famiglia Gregoretti, ha donato alla Marina militare italiana una tradizione di ufficiali, come Adolfo, medaglia d’oro al valore. Ma casa mia, fin da quando ero un ragazzino, ho sentito parlare tanto delle gesta eroiche e “patriottiche” di Bruno: era il fratello di mio nonno. Nella mia memoria sono rimasti custoditi, con i contorni un po’ opacizzati dal tempo che passa, i racconti, le mezze frasi, il detto e non detto di zii e di cugini più grandi che, forse per un pudore un po’ salottiero, un po’ radical, nascondevano il vanto di avere nei propri annali un eroe fascista. O, quanto meno, di un’Italia fascista e nazionalista. Ma quando iniziò la tiritera ansiogena e un non sempre comprensibile, del fascicolo per sequestro di persona aperto contro il Ministro dell’Interno Matteo Salvini, la memoria si risvegliò di botto. Ero quasi esasperato dai continui titoli e dibattiti televisivi: il caso Gregoretti-Salvini. Ecco la verità sulla vicenda Gregoretti… Mi divertiva vedere il mio cognome esibito come fosse una nave. Feci perfino un video sul mio canale you tube per ricordare scherzosamente che il Gregoretti in questione non ero io. Però… Però ne feci anche un altro perché non poteva sfuggirmi la contraddizione: Salvini a processo per aver difeso i confini bloccando una nave intitolata a un eroe di guerra morto per aver difeso i confini. Non solo eroe: medaglia d’argento al valor militare ottenuta per essere stato ucciso dai “genitori” morali dei negazionisti delle Foibe. Un rompicapo segno dei tempi dove il passato viene celato da un tappeto di cinica ipocrisia. Sotto cui hanno nascosto anche l’altro pesante nome dei porti aperti: la nave Diciotti. Dal Generale dell’esercito Ubaldo Diciotti, comandante di diversi porti, fu insignito con la medaglia d’argento al valor militare nel 1941.
Ma il giornalista deve scoperchiare la pentola. A maggior ragione se ce l‘ha in casa. Non è stato semplicissimo. Ma alla fine le carte sono saltate fuori dai cassetti polverosi. Non potevano più nascondere le gesta di un ufficiale di Marina che a 46 anni morì con la schiena dritta, lasciando la moglie Maria e due figli. Ecco il racconto che mi hanno regalato quei fogli un po’ ingialliti e che ho promesso di non far vedere per tutelare chi me li ha passati, anche se gli dicevo: “Ahò, ma era il fratello di mio nonno”. Ma, primo: proteggere gli informatori. La testimonianza di quella eroica ma tragica giornata è scritta e firmata dal nocchiere di terza classe Francesco Paolo Incarbona che ha visto morire a due passi da lui il capitano Gregoretti.
Le pallottole fischiavano. Arrivavano da tutte le parti. Sparavano dal convento dei Frati, dall’alto del campanile e dal muro di cinta, appena oltre Gradaz, all’altezza di Zacatrog, “Da terra” scrive il Nocchiere “si veniva fatti segno di scariche di armi da fuoco a cui il Comandante Gregoretti ordinava, in un primo momento, di non rispondere”. Incarbona stava al timone e ricevette l’ordine di accostare a sinistra “invertendo la rotta e avvicinandosi di più a terra per individuare la provenienza dei colpi e quindi neutralizzarli”. Il rapporto del Capo Nocchiere Incarbona, pur affidandolo al verbale della giornata, è avvincente e spiega bene di che pasta fosse fatto il mio avo. “Ordina di reagire con tutte le armi a bordo, composte da una mitragliatrice, quattro fucili mitragliatori e un fucile mitra, oltre i fucili e moschetti costituenti lo armamento personale dei componenti della spedizione”. Sembra commuoversi Inacarbona nelle righe successive. Sicuramente mi commuovo io. Scrive infatti: “Nonostante la distanza da terra fosse di molto raccorciata dalla iniziale e il fuoco nemico fosse diventato molto più nutrito, il Comandate Gregoretti restava all’inpiedi, noncurante come sempre del pericolo, impartendo ordini da poppa a prora, incitando tutti al combattimento e persino facendo aggiustare col suo aiuto personale il fuoco delle nostre armi”.
Il combattimento aumentò di intensità. La nave si accostò ancora di più per tentare di battere il nemico. Sempre in piedi “ritto” sulla coperta dell’imbarcazione, Gregoretti si avvicinò a Incarbona così: “Dai Incarbona! È questo il momento dimostrare a questa canaglia il valore del soldato italiano e picchar sodo”. Posso dire che mentre leggevo queste parole mi sembrava di essere lì. O meglio di avere il Comandante Gregoretti al mio fianco a incoraggiarmi ad andare avanti con il mio lavoro di giornalista in questi tempi di bavagli e di censure. Di non mollare nella ricerca della verità. Il mio pensiero è andato anche a un eroe moderno di cui ho scritto tanto, quel soldato “privato” che non cedette ai sequestratori e che, in Iraq, disse :”Vi faccio vedere come muore un italiano”.
Alle 10,40 di quel sette febbraio 1943 un altro fantastico italiano regalò la vita ai suoi concittadini: un proiettile colpì al cuore Bruno Gregoretti che, così, morì combattendo. Incarbona: “Anche lui (Gregoretti Ndr) impugnava il mitra mentre di corsa si avviava verso prora, quando ai piedi dell’albero di Trinchetto, mentre ancora impartiva ordini, coraggio e fede, veniva colpito dal fuoco nemico nella regione cardiaca”. Alle quattro del pomeriggio la nave attraccò alla banchina del porto Metcovich con la salma del Comandante Gregoretti “eroicamente caduto in combattimento alle ore 10,40”. Il rapporto del Capo nocchiere Francesco Incarbona diventò anche la ricostruzione ufficiale sulla base della quale il Generale di Divisione Guglielmo Spinacci chiese la medaglia al Valore per il Comandante Gregoretti. Scrisse Spinacci: “reputo equo e doveroso onorarne la memoria proponendolo per la cessione di una medaglia d’argento al V.M, sul campo, con queste motivazioni: Capitano di porto di elevato sentimento patriottico e spiccatissimo spirito combattivo….”. Che c’è di strano a commuoversi? Mi sento italiano. Peccato che il nome di Bruno Gregoretti venga sporcato in un’aula di giustizia per sancire giochetti di potere
Marco Gregoretti
Bruno Gregoretti – documenti