La giornata di mercoledì 1 febbraio, è iniziata nel peggiore dei modi. Verrebbe voglia di dire che quella ispirata dall’algoritmo del successo e dell’affermazione a ogni costo sia proprio una società di emme. A questo punto, infatti, gli investigatori non hanno più dubbi: la giovane ragazza di 19 anni trovata morta ieri mattina alle sette meno un quarto, nel bagno vicino alle aule dell’edificio 5 dello Iulm (Istituto universitario di lingue moderne), si è suicidata. È stato il custode a dare l’allarme. I sanitari del 118 non hanno potuto far altro, come recita la gelida formuletta, che constatare il decesso della studentessa, nata a Milano da genitori di origini sudamericane. Sia i primi accertamenti condotti dai Carabinieri della stazione Barona, che quelli successivi rilevati dalla Sezione investigazioni scientifiche del Nucleo investigativo dei colleghi di Milano, hanno delineato fin da subito la scena di un suicidio. E hanno escluso qualsiasi altra ipotesi, come fatto trapelare inizialmente da alcune note d’agenzia. “Per noi” confermano a Libero i Carabinieri “è stato chiaro fin da subito che si sia trattato di un gesto volontario”. L’accesso del bagno era chiuso dall’interno. La ragazza era vestita e sul suo corpo non erano presenti tracce che potessero rimandare a qualche violenza subita. Intorno al collo stringeva una sciarpa il cui capo era legato alla maniglia della porta. Vicino al cadavere la giacca piegata e la piccola borsa. Proprio analizzandone il contenuto i Carabinieri hanno fatto la scoperta che toglie il fiato: la lettera scritta di suo pugno con cui spiegava i motivi della decisione senza appello. Il proprio fallimento esistenziale e come studentessa, l’insuccesso a fronte dei sacrifici sostenuti dai genitori per consentirle di percorrere un ciclo di studi in una università privata e, forse, ma gli investigatori stanno cercando di capirlo sentendo gli amici, qualche intoppo nella sfera personale, sarebbero le indicazioni lasciate nel suo piccolo “testamento emotivo”. Ma come è possibile che, a ciclo di studi appena iniziato, una ragazza possa già sentirsi fallita? E che questo terremoto interiore trovi origine nel non presentarsi a un esame che avrebbe dovuto sostenere? “In una società competitiva” si chiede parlando con Libero la psicologa genovese Alessandra Lancellotti “come può una ragazza di 19 anni di cui non si sa nulla pensare di farcela? Chi l’aiuta a sentirsi qualcuno e trovare la sua strada, tra mille, in mezzo a chi ha appoggi e raccomandazioni? Quale orientamento scolastico e parentale l’hanno portata allo Iulm? Chi l’ha fatta sentire fallita?”. Tante domande. E poche risposte. Se non il fatto che la decisione di farla finita sia stata portata a termine con lucida determinazione, perché averla trovata all’alba in un bagno dell’Università significa che si era trattenuta all’interno oltre l’orario dei corsi e dei master. A lezioni finite. Che qualche cosa di terribile potesse essere successo aveva attanagliato anche i pensieri del padre che aveva denunciato la scomparsa della figlia perché non era rientrata a casa.
“Il cambiamento radicale di modello famigliare, il passaggio da famiglia etico normativa a famiglia affettiva” dice a Libero la psicologa milanese Cecilia Ferrari, che si occupa prevalentemente di adolescenza “ha generato un effetto collaterale che riguarda la fragilità narcisistica degli adolescenti, fortissima in questo momento. La delusone dell’aspettativa, che sia effettivamente genitoriale, o propria, o indotta dalle continue richieste di essere ben funzionanti e adeguati, è assolutamente intollerabile per loro”. Ragazze e ragazzi, dunque, che stanno malissimo fino a non riuscire più a respirare, a non voler più respirare.
Il Senato accademico dello Iulm, in segno di lutto e di solidarietà con la famiglia della giovane studentessa, ha sospeso le lezioni di ieri e “ha invitato” si legge “le commissioni impegnate negli esami di profitto a osservare tre minuti di silenzio”. Francamente poco comprensibile, invece, la parte del comunicato dove si auspica che “nessuno voglia trasformare una simile tragedia in un’ulteriore occasione di spettacolarizzazione del dolore”. C’era bisogno di una polemica preventiva? Quello che drammaticamente conta, conclude Lancellotti: “È che è morto il fiore di una vita. Che se accudito, come dice Esopo, sarebbe diventata una pianta dai pomi d’oro”. La domanda, allora, è: forse siamo noi ad aver fallito?
Marco Gregoretti