Non venitemi a parlare di libertà di stampa e di informazione. Oggi un normalissimo giornalista d’inchiesta che cerca di fare il proprio lavoro con scrupolo rischia di essere mobbizzato e inserito nel file dei complottisti. La mia generazione è stata abituata, imparando da maestri di giornalismo, spesso duri, a consumare la suola delle scarpe anche quando stava al desk a impaginare, a passare pezzi, a fare didascalie, occhielli, titoli e sommari. Se io non fossi tornato in redazione con notizie fatte e finite, verificate e “fastidiose”, sarei stato licenziato. Oggi è il contrario: ti licenziano o ti chiudono le porte se fai il tuo lavoro bene, con dedizione e con passione. E senza pensare ai like o allo share. Dino Buzzati scriveva reportage strepitosi, sul posto, precisi e drammatici.Tommaso Besozzi cercava la verità e se qualcosa non funzionava lui scriveva: “Di sicuro c’è solo che (il bandito Giuliano) è morto”. Ora sarebbero due complottisti e non troverebbero lavoro. Non ne posso più:
1 Di colleghi famosi e celebrati che presentano una notizia iniziando il post così: “Non so se sia vero”. Lamberto Sechi, (ma anche Andrea Monti, Giulio Anselmi e perfino Giuliano Ferrara) mi avrebbe cacciato a calci nel culo e non avrei mai più potuto mettere piede in una redazione
2 Di carriere determinate da appartenenze a gruppi di vario tipo: generi sessuali, genere tossicodipendenza, genere gioco d’azzardo, genere Bilderberg, genere stronzi fine a se stessi. E generi schierati: innocentisti o colpevolisti, putiniani o zelenskiani, covidisti o anticovidisti, chiusisti o aperturisti… Ma smettetela e tornate a fare il lavoro più bello del mondo!
3 Di giornalisti che smettono di cercare notizie e raccontare fatti e diventano opinionisti a gettone. Pagati per dire come la pensano. Mi fanno venire il prurito alle mani. Che senso ha contrapporre a un politico, a uno scienziato, a un manager, a un imprenditore, a un calciatore, a un magistrato, un giornalista? Mica per fare domande. No, per dare lezioni di politica, di scienza, di economia di calcio, di amministrazione della giustizia. I Talk show ci hanno scassato la minchia.
4 Di direttori che rovinano le testate e fanno perdere copie, ma trovano sempre un paracadute di salvataggio, spesso pagato meglio del paracadute precedente
5 Di veri narcisi che quando scatta la lucetta rossa della telecamera si trasformano in idrovore del consenso e perdono quel poco di cronista vero che avevano in sé
6 Di colleghi che usano le disgrazie umane per autopromuoversi sui social. Ma anche di quelli che fanno la cronaca solo sulle carte del palazzo. Come se il palazzo fosse sempre in buona fede. Le carte scritte da altri valgono meno di quelle scritte da me! È l’abc!!!
7 Della frase .”Eh, hai ragione, ma la gente vuole sentire o leggere che wxwx è colpevole. Perciò noi diciamo o scriviamo che è colpevole…”. E, quindi, di testate che parlano sempre e soltanto delle stesse cose da più di due anni. Chi a favore o chi contro, ma sempre di quello si occupano. L’importante è non toccare altri argomenti
8 Di autorevoli firme che si spostano a seconda di dove intravvedono la possibilità di un incarico istituzionale o di una candidatura elettorale. Riguarda anche la nuova tipologia di direttore: totalmente asservito agli interessi del proprio padrone. Mi aspetto di vederne un paio di loro al parlamento europeo a guadagnare un sacco e a non fare un caxxo. Un fenomeno assolutamente trasversale
9 Di giovani collaboratori che vengono pagati 10 euro ad articolo da giornaloni del mainstream. Per non parlare di quelli che nei siti di informazione on line percepiscono 50 centesimi a pezzo. Quando li insultate ricordatevelo. E se lo ricordi anche la classe politica se sproloquia di giornalismo senza saperne una mazza.
10 Di sentirmi dire “Greg, sei bravissimo, ma non sappiamo dove collocarti”. Tradotto: tu hai voglia di lavorare con passione, ci creeresti problemi in redazione. L’altra frase è: costi troppo. (E chi te l’ha detto?).
Marco Gregoretti