La mattina del 6 agosto 1945, il giorno in cui gli americani sganciarono la folle bomba atomica su Nagasaki, sua città natale, aveva 8 anni ed era già andato a fare una gita fuori porta con i genitori. Ma io ho sempre fantasticato che il Maestro Hiroshi Shirai, nato a il 31 luglio 1937 10 dan di Kara-te (il modo corretto di scriverlo è staccato e significa mano nuda, o mano vuota), colui che ha portato lo stile Shotokan di questa arte marziale in Italia, rientrando a casa abbia subito una pioggia di radiazioni residue che gli inserirono nel corpo e nella mente i super poteri. Una fantasia, naturalmente. Ma vi racconto una cosa: durante l’intervista che gli feci 22 anni fa per uno dei primi numeri di GQ e che potete leggere cliccando sui due file che seguono (Shirai 1 e Shirai 2), mi rispondeva un nano secondo in anticipo sulla domanda che stavo per porgli. Nel kara-te si chiama sen no sen, prima del prima. E gli chiesi: “Maestro come è possibile?”, “Tutti possono” rispose “Basta allenare 8 ore al giorno tutti i giorni.” Lui, oggi, a 84 anni, beh, lo fa ancora. Intervistare la massima autorità mondiale del kara-te che scelse di restare in Italia, dove avrebbe dovuto fermarsi pochi mesi, per amore dei suoi allievi, per la verità un tantino timorosi dei suoi allenamenti quando l’ora pattuita poteva durarne anche quattro e zitti e muti, è stata una delle più grandi emozioni della mia vita. Ho anche imparato a conoscere il senso della frase: sentirsi completamente indifesi. Ecco, parlando con lui, ti percepisci indifeso al cento per cento. È forte, gentile, delicato nella vita ordinaria. Duro, durissimo, ancora più duro nella pratica. Io lo so benissimo che cosa significa passare sotto le grinfie dei Maestri formati da lui. Di certo nella vita, poi, fai tutto più velocemente e non ostruisci il passaggio delle persone quando stai in piedi sull’autobus. Impari a controllarti, acquisti sicurezza, uccidi molti demoni. E a volte sorridi all’aggressore. “Perché lui non sa che può morire”, come disse una volta Sensei Shirai a un suo allievo che stava per litigare con un automobilista per un parcheggio. L’aneddotica che lo precede è ricca di spunti. Almeno quanto lui ha preteso e, pretende e pretenderà dai suoi allievi, a cui ha dedicato l’intera vita. Però lasciamo i racconti e il suo privato ad aleggiare nel dojo. Quel che conta sono gli insegnamenti. Che arrivano direttamente da Fijin Funakoshi. A me ne piace uno in particolare: C’è un tempo per vivere e c’è un tempo per morire. È di una profondità assoluta. Il kara-te si pratica per tramandarlo
Marco Gregoretti
Ora spero che riusciate a fare una buona lettura. OSS!
L’INTERVISTA AL MAESTRO HIROSHI SHIRAI
Shirai 1
Shirai 2
Sensei Hiroshi Shirai in tre tecniche. Yoko Tobi Geri, calcio laterale volante; Tzuki, pugno e parte caratteristica (per esempio della partenza) del kata (forma) Sochin (tradotto: la grande calma) ATTENZIONE:Foto da guardare dall’ultima alla prima