Incipit. Fine agosto 2014. Spero che fra un mese circa, quando questo articolo uscirà su GQ, i fatti non abbiano superato le notizie
(MG)
Era il lontano 2001. Dove eravamo rimasti? Dove era rimasto GQ? Qui, più o meno dove siamo ora. La rete di moschee sotterranee scoperte nell’hinterland milanese, le due valigette al plutonio scomparse in Ucraina, le casse di coltelli provenienti dall’Algeria sequestrate all’aeroporto di Madrid, il reclutamento di terroristi della porta accanto, somaticamente occidentali che più occidentali non si può, la sanguinaria setta Arian (o degli Arii). Tutto cambia, niente cambia. Purtroppo. Il piccolo succitato elenco faceva parte di un articolato rapporto inviato ai governi europei dopo l’11 settembre 2001 e “rimpolpato” dopo gli attacchi a Madrid e a Londra, nel 2004 e nel 2005.
Si mettevano in guardia i Capi di Stato anche verso due derive sempre più concrete: il cosiddetto “metodo Intifada”, o, alla basca, “Kalle Barroca”, ovvero il terrorismo diffuso da strada, fatto di aggressioni armate con i coltelli e i macete verso i passanti e i clienti dei supermercati e, l’altro allarme, la comparsa di terroristi fondamentalisti, perfino di kamikaze, con la “nostra faccia”. “Al Qaeda sta reclutando combattenti tra giovani spagnoli, tedeschi, inglesi e italiani”, c’era scritto nei documenti del Cesid (l’allora coordinamento dei servizi segreti di controspionaggio spagnolo) riportati in esclusiva da GQ “ci sono connessioni strette con i trafficanti di droga sud americani, per la cocaina, e con quelli asiatici, per l’oppio, con gruppi terroristici europei e con organizzazioni criminali come la ‘ndrangheta”. Droga per armi era la formula primaria “ di accumulazione del terrore”.
La domanda è questa: ci fu una pigrizia interpretativa su quegli elementi? Oppure si trattò di malafede vera e propria? Perché Isis di Abu Bakr al Baghdadi è figlia di Al Qaeda di Osama Bin Laden, è la stessa identica cosa. Cambia il nome, ma il disegno è sempre lo stesso: terrore in cambio di potere. Una guerra, come si dice, combattuta all’orientale, dove quelli che noi chiamiamo terroristi sono, in realtà, soldati di un esercito invisibile, astuto, furbo, intelligente, sofisticato che, con il gioco degli specchi, ci inganna e ci colpisce quando, dove e come noi non siamo in grado di prevedere. Non è il caso di scomodare l’Arte della guerra di Sun-tzu, però le radici culturali e storiche di chi pratica lo scontro senza scontrarsi, sono antiche, antichissime. Le gallerie, i tunnel, le bombe, ma anche gli shock finanziari, la strumentalizzazione politica, il seminare zizzania tra gli “infedeli”, sono strumenti bellici che potrebbero mettere in ginocchio qualsiasi esercito organizzato in modo tradizionale. Forse non hanno neanche bisogno di usare quelle maledette valigette atomiche sparite in Ucraina e finite a Osama Bin Laden, basta che si sappia che potrebbero usarle. E comunque: che fine hanno fatto?
Siamo come le foglie d’autunno, non c’è niente da fare. E, senza volere, (o no?) le organizzazioni americane ed europee danno una mano a risolvere i problemi interni al pianeta Islam. Una terribile lotta per il Califfato che va avanti da secoli: Mu’ ammar Al Kaddafy, detto Gheddafi, si era autoproclamato Califfo, finanziava con strategie abili (come i finti sequestri), ma anche direttamente, come il caso di Abu Sayaff, la sanguinaria cellula filippina di Al Qaeda, il terrorismo internazionale. Stringeva patti operativi con il Kgb, controllato nel Mediterraneo da suo cognato, il colonnello Jalloud, corrompeva la classe politica europea con danaro e petrolio (partiti e grandi aziende italiane, per esempio) e, se non bastava, ricorreva alle bombe: la desecretazione delle carte lo indicherà come il mandante di stragi come quella alla stazione di Bologna (lo scrisse GQ nel lontano 2000 e 2001). Ora Gheddafi non c’è più e il suo braccio armato, Carlos- Ilich-Ramirez, detto Lo sciacallo, capo indiscusso della Separat, ha finito la carriera in un carcere parigino. E anche gli altri contendenti Saddam Hussein e Osama Bin Laden hanno fatto una brutta fine: ambedue eliminati dagli ex “amici” occidentali. Saddam era servito per arginare la neo potenza islamica Iran, Osama per dare fastidio ai sovietici in Afganistan. Ora, dunque, anche grazie a noi, si è riaperta la partita per il Califfato, per quello che resta il sogno dell’Islam: la ricostituzione dell’Impero Selgiuichide. Libia, Egitto, Libano, Siria, Giudea Iraq, Iran, Afganistan e tutte le aree del Golfo sotto la guida del Califfo. Ricordate che cosa diceva di se stesso Saddam Hussein? “Sono la reincarnazione di Assurbanipal”. E tutti giù a ridere. Altro che… Era un messaggio molto preciso: Assurbanipal fu il re assiro-babilonese che conquistò Gerusalemme. L’altra guerra del Califfo di Isis, e dei poteri che lo sostengono e che lo finanziano, è contro l’Occidente. Non è una guerra “ideologica” dei “poveri contro i ricchi”, dei puri contro il Vaticano… No, è soltanto per la conquista di ogni simbolo e di ogni “fattualità” del potere, per sedere intorno al tavolo insieme a tutte le altre potenze del mondo.. Indebolire diplomaticamente e militarmente l’Occidente significa prendere il cuore del potere mondiale: Gerusalemme. Conquistata“all’orientale” appunto, con una guerra senza combattere una vera guerra. Questo scenario è la cornice di tanti fatti, anche degli errori clamorosi compiuti dall’Occidente. Per esempio quello di aver abbandonato la parte di Islam sunnita che aveva accettato di partecipare alla grande operazione “moderata” promossa dall’Italia negli anni Ottanta, di costruire una Confederazione democratica, detta Akbar Maghreb (Grande Maghreb) che contemplava il rovesciamento delle dittature in Tunisia (dove con la Guerra del pane si liberarono di Bourghiba), Marocco, Algeria dove gli oppositori vinsero le elezioni ma furono tutti imprigionati. E poi ci fu la lista dei 1500 oppositori libici che il Governo italiano consegnò a Gheddafi: fu una carneficina… Erano migliaia di berberi, di tuareg, di beduini che volevano la libertà e furono lasciati soli. Quanti di loro andarono a rafforzare le file dei guerrieri di Allah? L’Italia aveva una unità operativa di controspionaggio particolarmente dedicata al Medioriente. Di quel gruppo è sopravvissuto soltanto un agente (gli altri sono tutti morti in strani incidenti) che, per essere detentore di queste notizie, ha subito ogni tipo di angheria, di delegittimazione, di tentativi di omicidio. GQ lo intervistò più volte nel 2001, a rileggere oggi quelle parole vengono i brividi. E anche un po’ di rabbia. Perché non gli hanno dato retta? G71-VO-155-M, questa era la sua sigla, ha sempre chiamato in causa Gheddafi e i suoi legami con il Kgb e con i vertici della politica italiana. Lo ha sempre indicato come il mandante delle stragi. Ma G-71-VO-155-M aveva anche girato i filmati nelle foreste di Qom, in Iran, dove si vedeva un giovane Mahmud Ahmadinejad insieme a Komheini che lo addestrava, e, soprattutto, quando fu arrestato in Marocco, raccolse le testimonianze in carcere che gli permisero di avviare una nuova indagine, una clamorosa chiave di lettura che conferma la unica verità: nessuna religione, nessuna giustizia, solo lotta per comandare il mondo attraverso “il male”.
Negli archivi dei servizi segreti italiani ci sono tutti i rapporti, le fotografie, i nomi che raccontano della storia e dell’esistenza di una potentissima setta, come si legge “estremista, eretica, gnostica, esoterica e iniziatica, all’interno di un’altra setta sciita ismailita, fuori dal Corano. Scopo della setta: la presa del potere con ogni mezzo e facendo leva su ogni fanatismo .Minimo comune denominatore: l’antisemitismo, l’uso e il traffico di droga”. E’ la setta Arian ( o Arii), nata nel 1200 sulle ceneri dei sanguinari Hashashin (fumatori di hascish, da cui la parola assassino). Arii, vuol dire: signori, ariani. E un anello ne indica l’appartenenza nella posizione di comando. Quell’anello lo hanno avuto Adolf Hitler, Gheddafi, l’Ayatollah Komeini, Osama Bin Laden. Scopriamo chi ce l’ha ora al dito. E se riusciamo a toglierglielo forse ci salveremo.
Marco Gregoretti