- Testata Panorama
- Data Pubbl. 02/07/1998
- Numero 0026
- Numero Pag. 28
- Sezione STORIA DI COPERTINA
- Occhiello STORIA DELLA SETTIMANA RAPPORTI IMBARAZZANTI VIAGGIO NELLE CITTA’ ASSEDIATE DALLA MICRODELINQUENZA
- Titolo CRIMINOPOLI SE L’ ITALIA SI RIBELLA
- Autore MARILENA BUSSOLETTI, MARCO GREGORETTI e MAURIZIO TORTORELLA
- Testo
La prima pallottola esplode alle 13,47, nel caldo torrido della città. La reazione del benzinaio è stata coraggiosa ma imprudente: “Vuoi spararmi? E spara!”. Il colpo lo raggiunge al ginocchio e l’ uomo si accascia. I due rapinatori si guardano attorno: un altro colpo, e il giovane passante che aveva visto tutto cade sull’ asfalto. La gente esce dai bar e dai negozi. Altri colpi, stavolta in aria, quindi la fuga, a piedi, per viale Abruzzi a Milano. E’ lunedì 22 giugno 1998. Benvenuti in una delle grandi capitali di Criminopoli. Panorama si era presentato all’ appuntamento con uno dei testimoni scelti per questa inchiesta sulla violenza nelle città italiane, ed è incappato nella prima rapina della settimana, fortunatamente senza cadaveri. Una delle circa 3 mila (quasi cento al giorno) che ogni anno vengono compiute a Milano, una delle 33 mila denunciate in tutta Italia. Le statistiche della criminalità, quelle registrate dall’ Istat sulla base delle denunce presentate, sono impressionanti: negli ultimi 17 anni (vedere i dati – quelli relativi al 1997 sono inediti – nelle tabelle di queste pagine) le rapine sono aumentate di sette volte, le lesioni dolose sono quasi decuplicate, le truffe triplicate, le estorsioni raddoppiate. In appena sette anni le violenze sessuali sono aumentate del 127 per cento. Gian Maria Fara, il sociologo presidente dell’ Eurispes, scompone la statistica in un computo allarmante: un furto ogni 22 secondi; un’ auto rubata ogni 2 minuti; un appartamento svaligiato ogni 3 minuti. In media ogni ora un cittadino viene borseggiato, e ogni 3 subisce uno scippo. “I dati sulla microcriminalità” dice Fara “dimostrano che gli italiani vivono in una condizione di paura e di disagio ormai insostenibile”. E’ in questo delicato humus psicologico che due settimane fa è stato calato un provvedimento corretto nelle intenzioni ma rischioso nei risultati. La legge Simeone-Saraceni stabilisce che anche i condannati in via definitiva a pene inferiori ai tre anni possano chiedere – come peraltro era già previsto da altre leggi, rimaste inattuate – l’ applicazione di pene alternative: l’ affidamento ai servizi sociali o gli arresti domiciliari. Sono esclusi i reati più gravi, come l’ omicidio, ma non il tentato omicidio, lo scippo, il furto, la rapina e alcuni reati di droga. Gli avversari della legge hanno calcolato che verranno messi in libertà circa 12 mila detenuti, molti dei quali recidivi e colpevoli proprio dei reati che causano il maggiore allarme sociale. Orlando Minerva, segretario milanese del Siulp, sindacato unitario di polizia, sostiene che ora in città per 1.500 ricercati sarà necessario aprire una complessa procedura: andranno rintracciati, portati in questura, verrà chiesto loro se vogliono avvalersi dei benefici di legge. E sicuramente andranno tutti agli arresti domiciliari: “Ma nel 90 per cento dei casi sono extracomunitari senza fissa dimora” contesta Minerva. “Dove li controlliamo? E come?”. Secondo un sondaggio condotto in aprile dal Censis su un campione di 2 mila persone, un italiano su tre (per l’ esattezza il 34,7 per cento) è convinto che negli ultimi cinque anni la sicurezza nella sua zona di residenza sia molto peggiorata; e il 48 per cento crede che non ci siano stati miglioramenti. Non è un quadro dovuto a pessimismo giustizialista degli italiani. Anche dall’ estero la percezione dell’ Italia è allarmante: una recente indagine della Confesercenti ha fotografato queste paure fra i turisti francesi, tedeschi e olandesi: il 20 per cento ha dichiarato che non verrà mai in Italia. Tra le cause, al primo posto sono la microcriminalità e le città poco sicure. I tedeschi temono soprattutto i furti (il 68 per cento). I francesi gli scippi (il 65). Gli olandesi le rapine (il 43). Di fronte a questa situazione da Far West, come si difendono gli italiani? Sempre più spesso da soli. Ci sono piccoli industriali che annunciano che non tollereranno altri furti in azienda e prendono il fucile. C’ è il sindaco leghista di Jesolo che arruola le camicie verdi. E si moltiplicano le iniziative di comitati cittadini o di interi comuni che si organizzano in proprio: è la “privatizzazione della sicurezza”. Prima erano solo ricette estive, adottate da qualche sindaco della Riviera ligure, comune di Rapallo in testa: in agosto si assoldava qualche guardia giurata da affiancare alle forze dell’ ordine. Ora il fenomeno si sta ampliando, e sempre più spesso si trasforma in una soluzione a tempo indeterminato. Un mese fa a Binago, un centro del Comasco, il sindaco ha stipulato una convenzione con i vigilantes per pattugliare il paese di notte. La decisione ha fatto scuola: altri 15 comuni della provincia si stanno consorziando per seguire l’ esempio. Ma altrettanto è accaduto a Calvi, 9 km da Benevento. Gli “sceriffi”, per legge, possono solo tutelare immobili e cose, in nessun caso le persone. Ma non è difficile trovare l’ escamotage. Lo spiega uno dei più famosi fra i poliziotti privati, Franco Cecconi, 39 anni, gorilla di Valeria Marini e di industriali a rischio di rapimento: “Mettiamo che io abbia un’ impresa e che voglia una scorta armata. Firmo un contratto per tutelare l’ azienda, il palazzo, le mie cose. E’ tutto legale. Ma noi, in realtà, facciamo la scorta alla persona”. Con la paura aumenta il numero degli italiani che pagano dalle 300 mila lire fino al milione al giorno per avere un guardaspalle. Secondo alcune stime, i gorilla proteggerebbero almeno 40-50 mila persone: l’ equivalente di una cittadina. E cresce anche il numero dei quartieri residenziali che si dotano di difese in proprio. Negli Stati Uniti sono già 8 milioni gli abitanti che vivono in centri protetti e sorvegliati. Ma anche in Italia gli esperimenti non mancano. A Roma c’ è il quartiere dell’ Olgiata, con cancellate e guardie armate. A Torino, in collina, senza un controllo non si entra nel quartiere di San Giacomo. Al Nord ci sono anche Milano 2 e Milano 3, due aree residenziali protette. A Segrate sorge San Felice, 6 mila abitanti: “Spendiamo quasi un miliardo l’ anno per 14 guardie armate” dice l’ amministratore, Virginio Alfano. Il crimine, qui, viene fermato alla porta. Ma non sempre: tre settimane fa anche una delle due banche di San Felice è stata rapinata. Non tutti, comunque, possono permettersi guardie, cancelli e recinzioni. Così nelle zone più disagiate delle grandi città tornano le ronde formate da semplici cittadini. Era stato un fenomeno tipico dell’ estate ‘ 96. Ora a Ostia, in alcuni quartieri di Milano, a Torino, il passaparola torna a battere di porta in porta. Sempre secondo lo studio del Censis, di fronte a un’ insufficiente presenza delle forze dell’ ordine, il 31,7 per cento degli intervistati oggi è favorevole alle ronde private. La percentuale sale al 43,4 nel Nord-Ovest. Anche i sindaci della nuova generazione sono più sensibili al tema dell’ ordine pubblico. Modena, in passato città di ronde, è stata la prima dove il Comune ha firmato un “contratto di sicurezza” con il ministero dell’ Interno. Questo contratto permette ai sindaci, ufficialmente capi del corpo di polizia municipale, di fare parte a pieno titolo del Comitato provinciale per l’ ordine e la sicurezza. La seconda città a firmare, in marzo, è stata Napoli. Una delle prime decisioni: il potenziamento dell’ organico dei vigili, da 2.100 a 3 mila unità. “Anche a Palermo” dice il questore Antonio Manganelli “stiamo sperimentando l’ integrazione tra polizia e vigili. La vigilanza privata? Credo debba avere una funzione di controllo. E’ lo Stato che deve occuparsi della sicurezza, oppure facciamo un nuovo esercito di Franceschiello”. Gianfranco De Nicola due anni fa era il capo delle ronde che vigilavano sulle strade più a rischio di Milano. Quell’ impegno gli è valso 1.300 preferenze e un seggio in consiglio comunale, come indipendente di An: “La situazione è molto peggiorata” lamenta. “Se due anni fa lo slogan era “stiamo perdendo la pazienza”, oggi molti l’ hanno persa e vogliono farsi giustizia da sé”. I rondisti sono solamente un pensiero in più per Lucio Carluccio, per tanti anni a capo della Squadra mobile milanese. Carluccio contesta l’ immagine di una città sempre più simile alla Chicago degli anni Venti: “Qui la gente denuncia più che altrove, ecco perché Milano è ai primi posti per alcuni reati. E poi i numeri non tengono conto che ogni anno risolviamo 80 furti su cento e almeno il 70 per cento degli omicidi. Oggi la città è molto più tranquilla di alcuni anni fa, quando le gang si affrontavano per strada”. Certo, qui più di altrove la ricchezza attira i traffici illeciti. Soprattutto quelli dell’ immigrazione clandestina, che in certi casi si è sostituita alle organizzazioni criminali autoctone. “E’ vero” sostiene Carluccio “mesi fa abbiamo fermato una banda di slavi che comandavano sulla manovalanza italiana. Ma il loro controllo sul territorio è limitato”. A contraddire Carluccio è Carmine Abagnale, leader del Sap, il sindacato autonomo di polizia: “I dati sui furti e su certi reati calano solo perché la gente è sfiduciata e non li denuncia più”. Gli agenti sono in fermento, dopo l’ approvazione della legge Simeone-Saraceni. Oronzo Cosi, segretario del Siulp, teme che adesso gli uomini non basteranno per controllare i condannati agli arresti domiciliari. “Il vero nodo da risolvere” protesta “è che serve subito una seria radiografia interna dei tre corpi. Quanti uomini sono destinati a compiti operativi? Dove sono, cosa fanno gli altri?”. Sono i problemi mai risolti. Bisogna recuperare agenti dagli uffici, coordinare le forze. In Italia sono all’ opera 103 mila poliziotti, 104 mila carabinieri, 70 mila finanzieri, un numero incalcolato di vigili urbani: il Paese vanta il primato europeo del più alto rapporto tra forze dell’ ordine e cittadini, con un agente ogni 201 abitanti contro i 252 della Francia o i 375 della Germania. E’ paradossale che in questa situazione cresca il ricorso al fai-da-te. Ma evidentemente qualche giustificazione esiste. “Non approvo questa privatizzazione della sicurezza” dice Fara, dell’ Eurispes, “ma non mi stupisco. E’ la spia del fatto che i cittadini non si sentono tutelati”. Il disagio, anche in questo caso, si esprime con una statistica che si impenna. C’ è chi ne fa una vera dichiarazione di guerra, come i cittadini del quartiere di San Salvario a Torino, che in rivolta contro gli immigrati hanno minacciato di armarsi tutti. Ma, in silenzio, sta crescendo il numero degli aspiranti pistoleri. Vanno a ingrossare le file del milione di italiani che, fra cacciatori e sceriffi, già possiedono un’ arma. Nel 1996 sono stati 42.396 i permessi concessi ai privati cittadini (in testa è la Lombardia, con 9.100 licenze), per la prima volta ben più numerosi dei 35 mila rilasciati ai vigilantes. Nel ‘ 97 si sono aggiunte ancora 41.886 richieste di privati, contro le 37.499 delle guardie giurate. E anche i frequentatori dei poligoni di tiro aumentano: oggi sono 7 mila, di cui 2 mila donne. Quanti di loro, nel profondo della coscienza, sentono che potrebbe essere arrivato il momento di sparare, e non solo a una sagoma?
L’ IMPRENDITORE SPIACENTE, MA IO ORA PRENDO IL FUCILE
La minaccia di Marco Calosso, costruttore di Asti Marco Calosso è alto un metro e 80, pesa 110 kilogrammi. A lui non piace essere chiamato così, ma a San Marzanotto, un paesino dalle parti di Asti, il soprannome ormai è indelebile: per tutti è “lo Sceriffo”. Va avanti così da sei anni, da quando Calosso ha ucciso un rapinatore che era penetrato in azienda e aveva aggredito il suo socio: una storia della quale lui non vuole parlare. Ma ancora oggi lo Sceriffo vigila sulla sua ditta, la Moviter, una società di scavi e costruzione strade che fattura sui 7 miliardi. E adesso è davvero esasperato: “I furti sono continui, non si può più andare avanti”. Calosso non è il solo a lamentarsi. Nel circondario le aziende prese di mira sono molte. “Rubano di tutto, dalle gomme delle auto fino ai grandi macchinari”. E’ stato proprio per l’ ennesimo furto da 2-300 milioni che Calosso, il 20 giugno, ha perso per sempre la pazienza: ha afferrato carta e penna e ha scritto un fax al suo giornale, La Stampa: “Da oggi coloro che verranno sorpresi a rubare all’ interno della mia proprietà saranno presi a fucilate”. “Non sono uno sceriffo” protesta Calosso. “Voglio solo difendere la mia roba, la mia famiglia e il lavoro dei miei operai. Perché l’ alternativa, se si va avanti così, è una sola: chiudere”. I dipendenti si erano offerti per primi di fare i vigilantes. “Ma non avrei mai messo in gioco la loro incolumità. Tocca a me. Ho un regolare porto d’ armi, e l’ azienda è mia”. Si apre a poco a poco, Calosso. Nel carattere, dicono, è in tutto e per tutto simile a sua figlia Valeria, 19 anni, la più giovane consigliera comunale di Asti. “Lo Stato italiano è il mio azionista di maggioranza, si becca la metà dei miei utili. Dovrebbe proteggermi e invece sputa nel piatto dove mangia”. E i carabinieri? “A ogni furto li chiamo e arrivano. Ma hanno le mani legate: e Asti è un’ oasi per gli extracomunitari, la criminalità qui è padrona. Le gang sono organizzate: rubano le macchine e le vendono a pezzo a pezzo”. Fino alla prima fucilata.
IL SINDACO NOTTI TRAGICHE, ASSUMIAMO GUARDIE GIURATE
L’ idea di Antonio Molinari, sindaco di Calvi, in provincia di Benevento Strade pattugliate da vigilantes a pagamento. L’ idea di Antonio Molinari, sindaco di Calvi, un paesino a due passi da Benevento che vive di coltivazione del tabacco, è piaciuta a tutti i compaesani. Da anni, del resto, lo rieleggono alla guida del Comune con voto quasi plebiscitario. Radiologo quarantenne, Molinari alla testa della lista civica di centrodestra Rinascita democratica calvese alle ultime elezioni ha rastrellato 1.053 voti su 1.600. L’ 8 giugno è stata una giornata storica per Calvi. Il consiglio al completo (otto consiglieri della maggioranza e quattro dell’ opposizione) ha votato questa delibera: “Prendiamo atto dell’ istanza dell’ istituto di vigilanza Metronotte Sannita e diamo inizio all’ ipotesi di lavoro previa concertazione con le autorità competenti”. Tradotto dal burocratese vuol dire che il Comune firmerà un contratto con la polizia privata. Una guardia giurata perlustrerà le strade dalle 10 di sera alle 8 di mattina. Costo: un milione al mese. Spiega il sindaco: “E’ un bel risparmio rispetto a quanto ci sarebbe costato un altro vigile. Per i due che abbiamo, oggi, spendiamo 70 milioni l’ anno”. Polizia privata contro la camorra? “Questa è una zona sana, la criminalità organizzata non ci tocca, ma quella comune sì: siamo terrorizzati dai furti negli appartamenti” spiega Molinari. “Non sono professionisti, sono balordi che picchiano con violenza inaudita. Prima o poi ci scappa il morto”. Non ha paura delle critiche Molinari: “Nessuno pensa che la polizia privata debba o possa sostituirsi a quella di Stato. Ma i carabinieri sono pochi e non bastano. E io devo garantire ai miei concittadini di poter dormire tranquilli nelle loro case”. Massimo rispetto per le competenze, giura Molinari: “Basta definire i compiti: i vigilantes non potranno arrestare i malintenzionati, ma potranno avvertire i carabinieri. E certo serviranno da deterrente”.
L’ ESERCITO QUI SICILIA, VOGLIAMO LA “VESPRI BIS”
Le contromisure dei sindaci dopo la ritirata dei soldati C’ è una regione d’ Italia dove scippi, furti e rapine sono da anni in clamorosa diminuzione. Quale? La Sicilia. Una realtà sorprendente, che le statistiche dell’ Istat documentano: tra il 1990 e il 1997 a Palermo i furti sono diminuiti del 6,3 per cento e le rapine del 33 per cento, mentre a Catania crollavano rispettivamente del 18,7 per cento e del 44 per cento. La ragione è in una sigla: “Vespri”. Ovvero la più grande operazione militare mai compiuta dall’ esercito italiano in tempo di pace. Per sei anni 150 mila militari si sono alternati nell’ isola, aiutando le forze dell’ ordine nella duplice guerra a Cosa nostra e alla microcriminalità. Inviati nell’ isola nel luglio 1992, all’ indomani delle stragi in cui persero la vita i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i militari hanno pattugliato le strade, vigilato gli obiettivi di possibili attentati, controllato vetture e personaggi sospetti, mentre polizia, carabinieri e finanza potevano dedicarsi con maggior attenzione alle indagini. Risultato: 13 latitanti di Cosa nostra catturati nel solo 1997. E non solo. Ha sintetizzato l’ arcivescovo di Palermo Salvatore De Giorgi: “Non ci sono più stati attentati eclatanti e sono calati i reati comuni lungo le strade, come scippi e rapine”. Ora, però, i militari stanno andando via: il governo dell’ Ulivo ha ordinato a tutti il ritorno a casa. Giovedì 25 giugno gli ultimi alpini sono partiti dall’ isola, lasciando dietro di sé parecchi rimpianti e qualche allarme. Il più preoccupato sembra Leoluca Orlando, sindaco di Palermo: senza perder tempo, prima ancora che gli ultimi militari salpassero, ha preso carta e penna e ha scritto ai ministri dell’ Interno e della Difesa chiedendo il varo di un’ operazione “Vespri bis”. Il questore, Antonio Manganelli, annuncia a Panorama: “I soldati verranno presto rimpiazzati da nuovi carabinieri, agenti, finanzieri. Sono già arrivati 800 uomini”. Dall’ altra parte dell’ isola, a Catania, anche il sindaco Enzo Bianco ostenta tranquillità: “I seicento soldati sono andati via, è vero, ma sono stati sostituiti da 484 poliziotti, per lo più giovani. Hanno formato pattuglie di tre agenti, che girano a piedi per la città. E le rapine, secondo il questore, sono diminuite del 10 per cento dall’ inizio dell’ anno”. Il nome in codice delle pattuglie di polizia? Ovvio: “Vespri”.