Le telecamere di sorveglianza e altri filmati stanno scorrendo da oltre 24 ore nei monitor degli uffici della Digos di Milano. Le indagini non sono finite. Altri ultras verranno identificati. Sabato sera, 29 ottobre, durante il match tra l’Inter e la Sampdoria (3 a 0 per i padroni di casa), 7.500 tifosi, sono stati “invitati” ad abbandonare lo stadio Meazza. “Non è la prima volta che gli ultras ci cacciano mentre è in corso partita! A me, negli anni scorsi è capitato almeno in due occasioni”. Lele G., sfegatato tifoso interista, commenta così il flash mob al contrario dei Boys nerazzurri che hanno, con le buone o con le cattive, svuotato il secondo anello verde, mentre ancora si stava disputando l’incontro. Era arrivata la conferma dell’assassinio, sotto casa, di Vittorio Boiocchi, 69 anni, di cui 26 passati in carcere, ex capo storico della tifoseria nerazzurra più estremista della Curva nord. Bisognava rendere omaggio al vecchio leader ucciso, con ogni probabilità, per un regolamento di conti. Nuovi capi, dunque, vecchie abitudini.
Tutto era filato liscio fino all’arrivo della notizia dell’agguato, alle 19,48, contro Boiocchi. Poi, il primo step degli agit prop della Curva: togliere gli striscioni e far tacere microfoni e megafoni. Niente più slogan. Tutti zitti. Gli investigatori presenti, come sempre, dentro e fuori lo stadio, si sono accorti che, nel frattempo, un gruppo di supporter della squadra si era allontanato per ritrovarsi al Baretto, abituale luogo d’incontro dei Boys.
Il secondo step, come documentato dalla Digos, è stato con le squadre ancora in campo per il secondo tempo. Via tutti! La dirigenza dell’Inter e la Questura di Milano hanno temuto che le persone che se ne andavano anzitempo, in modo imprevisto e disordinato, potessero, come si legge nel comunicato della Questura “avere ricadute per l’incolumità della massa di persone in movimento”. Per questo quando la Digos ha capito le reali intenzioni dei capi della curva, ha messo in campo velocemente un piano B, decidendo di adattare le collocazioni degli stweard alla situazione che si stava creando. Occorreva evitare che la tifoseria “potesse dare luogo ad azioni scomposte e pericolose per persone o cose”.
Messa in sicurezza l’uscita dallo stadio, gli agenti, rientrati in sede, hanno iniziato l’analisi dei filmati e dei video. I sospetti sono stati confermati. I tifosi venivano obbligati con veemenza ad andare via. E chi ha provato a resistere o a protestare (“ho pagato il biglietto, guardo la partita”) ha ricevuto inviti più “ solerti” . Arrivando, in un caso accertato, a spintonare uno spettatore facendolo cadere. “La Digos” si legge nel comunicato “d’intesa con l’Autorità giudiziaria ha avviato un’ attenta analisi dell’impianto di videosorveglianza dello stadio e ha già individuato alcuni ultras (si parla di due o tre persone Ndr) che hanno provocato il deflusso”. Gli investigatori aggiungono che è stata isolata “la posizione di un altro ultras responsabile di aver usato violenza verso una persona che esitava a lasciare lo stadio”. L’invito della Questura, comunque, è quello di non esagerar: “Non si è trattato di una situazione incontrollabile”. È sicuramente così. Probabilmente proprio per il lavoro tempestivo della Digos e della Società.
Ma la faccenda non è ancora chiusa, in realtà. Il materiale video passato al setaccio fin qui è soltanto la prima parte. Il lavoro sui filmati sta continuando. Ed è molto probabile che vengano indentificati altri responsabili. Per quel che riguarda i provvedimenti va detto che, nonostante diverse proteste raccolte dal 112 di cittadini che sono stati cacciati dalla curva contro la propria volontà, non è stata presentata alcuna denuncia. Neanche da parte del tifoso caduto per terra. Ciò non esclude, il Daspo per i responsabili.
L’Inter, intanto, a livello societario, sta studiando una serie di iniziative per risarcire in qualche modo chi ha dovuto interrompere forzatamente di seguire il match. Inutile negarlo: Il calcio è terreno di scontro sociale e politico. Dalla serie A in giù. Stefano Colantuono, Presidente del circolo sportivo di Arese, dove domenica davanti allo stadio si è sfiorato lo scontro tra Casa Pound e anarchici antagonisti, dice a Libero: “Questa gente con la squadra non c’entra niente. Sono delinquenti e basta. Vedrete che combineranno ancora nei paesi qui vicino”. Il segnale arriva forte e chiaro da una società di terza categoria. Occhio.
Marco Gregoretti