Più approfondisci, più questa cronaca precipita nel buio dell’assurdo. Alessia Pifferi, una donna di 37 anni, senza lavoro, giovedì 14 luglio ha riempito un biberon di latte, lo ha messo accanto a una boccetta aperta di ansiolitico e vicino al lettino da campeggio dove aveva adagiato Diana, la sua bimba di 16 mesi, nata il 29 gennaio 2021 da una relazione già finita. E, dopo averle cambiato il pannolino, sarebbe uscita per andare a Leffe, vicino a Bergamo, a trovare il suo nuovo partner. Che, giorni dopo, ha accompagnato a Milano per fare alcune commissioni. Ma non è passata da casa, dalla sua bambina, in via Parea, zona Lambro, Municipio 4, a due passi dall’ospedale Monzino. Ci è andata sei giorni dopo, mercoledì 20 luglio. All’alba. Quando Diana, oramai, era un piccolo cadavere. Morta di stenti, “senza generi alimentari sufficienti, assolutamente incapace, vista l‘età di provvedere alla propria assistenza”, come spiegano gli investigatori della Squadra mobile di Milano coordinati dal pubblico ministero di turno, Francesco De Tommasi. Praticamente la piccola è stata abbandonata, contando anche giovedì 14 luglio, per “sette giorni consecutivi” e per questo la madre è stata arrestata con l’accusa di omicidio volontario aggravato dai futili motivi. Sarà l’autopsia, disposta dal magistrato, a stabilire nel dettaglio le cause di questo dramma allucinante. Da non crederci davvero, infatti: secondo la prima ricostruzione l’attuale compagno della mamma di Diana, quello che aveva raggiunto a Bergamo, era totalmente all’oscuro della situazione. Anzi, a una sua precisa richiesta, gli sarebbe stato risposto di stare tranquillo, perché Diana si trovava con la zia materna, in una località di mare. Il lungo interrogatorio nella notte tra mercoledì 20 e giovedì 21 luglio, ha assunto, a quanto si apprende da alcune indiscrezioni, toni surreali, ma che delineano una storia di disagio e di mancanza totale di paletti esistenziali. Secondo le dichiarazioni notturne il padre della bimba non avrebbe mai neanche saputo della gravidanza da cui è nata Diana. La parte più sorprendente, appunto, surreale, se confermata, riguarda la contezza della donna del prezzo altissimo che la piccola avrebbe pagato per il lungo abbandono subito. Alessia Pifferi, in sostanza avrebbe ammesso di sapere molto bene che sua figlia avrebbe potuto fare la fine che ha fatto. “Ero consapevole che potesse morire”.
L’eco di storie “antiche” che hanno occupato per mesi, anni, le pagine di cronaca nera, si fanno sentire rumorose in queste ore. Come quella mai chiarita fino in fondo della morte del piccolo Samuele, il 30 gennaio 2002, alle otto di mattina, a Cogne, che portò in carcere, condannata a 16 anni, Anna Maria Franzoni, la mamma. “In effetti” dice a Libero la psicologa Alessandra Lancellotti, che di quella vicenda si è occupata a lungo “Anche la piccola Diana sembra essere la vittima di una psicosi. Di una mamma psicotica che modifica la realtà in base al proprio pensiero. Che continua a variare, la percezione della realtà”.
Se la lucidità manifestata durante la lunga escussione potrebbe confermare l’ipotesi di Lancellotti, c’è un altro elemento che lascia a bocca aperta. L’allarme alle forze dell’ordine è stato lanciato da una vicina di casa, in via Parea, chiamata dalla mamma di Diana che chiedeva soccorso. Una richiesta di aiuto dopo sei giorni durante i quali la bambina, nonostante non potesse nutrirsi, non avrebbe mai pianto. Nessuno dei vicini si sarebbe accorto che qualcosa non funzionava per questo motivo: Diana era silenziosissima. E, infatti, si sta facendo strada forte, il sospetto che la bambina, prima di essere lasciata da sola per tutto quel tempo, sia stata stordita, addormentata, con una massiccia dose di tranquillanti, di ansiolitici. E, probabilmente, anche per questo motivo, sarebbe scattate l’accusa di premeditazione. “Mi chiedo” prosegue Lancellotti “che vissuto possa avere questa donna. Come sia stata cresciuta a sua volta. So solo che la madre vive in un’altra città, non a Milano. Ma il punto vero, secondo me, è questo: la morte di Diana è una vendetta contro qualcuno?”, domanda, spingendosi molto oltre, la psicologa. Che, comunque di casi simili a questo ne ha seguiti tanti. Al punto che, con un paradosso, arriva a chiedersi “Era quello che voleva? Alessia voleva che Diana morisse? E perché? E contro chi? Basandomi sulle notizie che si stanno raccogliendo, il lungo abbandono, la bambina che non piange, il padre che non si sa chi sia, la presenza degli ansiolitici vicino al biberon, l’apparente freddezza, non mi sembrano, quelle che pongo, domande assurde. E, comunque, sia chiaro, non voglio giustificare nulla. Anzi”.
Se fosse confermato il racconto della mamma di Diana reso al magistrato, sarebbe un pugno nello stomaco. Ma ora, si aspettano i riscontri e gli approfondimenti investigativi e anatomopatologici per sapere se davvero Alessia fosse consapevole che, abbandonandola come ha fatto, la sua piccola potesse morire. Il decalogo socio-giustificatorio, comunque, difficilmente questa volta potrà funzionare.
Marco Gregoretti