L’identikit del “rosso del Mugello”. Una leggenda metropolitana, investigata e smentita ogni volta che è stata riproposta, secondo la quale attribuirebbe a questo fantomatico personaggio il ruolo di killer solitario che, mettendosi il caschetto da minatore, avrebbe ammazzato almeno quattordici persone. Da solo sarebbe stato il palo, lo sparatore e il recissore di parti intime.
Sarebbe ancora una volta questa ipotesi, sponsorizzata da un gruppo di persone che, a vario titolo on line, avrebbero cominciato a interessarsi dieci anni fa del caso ottenendo dai followers in rete, il titolo di “esperti”, la clamorosa novità investigativa circolata in questi giorni. A volte i novelli esperti vengono sentiti e intervistati perfino da giornalisti importanti che, invece, tanto esperti non sono. Ma fanno effetto le loro affermazioni. Ce n’è perfino uno, a lungo andato per la maggiore, che per alcuni anni è riuscito a fare credere di essere un avvocato. Invece è un negoziante. Se fossi un commerciante mi arrabbierei. E di brutto. Un altro lo abbiamo letto e visto intervistato da giornali e tv come fosse un investigatore privato, invece non lo è mai stato. Spesso litigano tra loro creando una Babele di gruppi, forum, pagine e profili che si scannano sostenendo le più strampalate ipotesi, come fossero loro stessi poliziotti, carabinieri, magistrati o criminologi. Purtroppo nella loro rete a volte restano intrappolate persone che, per titolo e ruolo, hanno avuto funzioni pubbliche importanti nel corso delle mille indagini giudiziarie sul Mostro di Firenze. Ed è un mistero, perché la maggior parte di questi “grandi esperti” sa molto poco di questa drammatica vicenda. È la rete, non ci si può fare nulla: vince la convinzione (non sempre esatta) che ottenga più like e più share chi la spara più grossa, magari contro qualche poliziotto o contro qualche magistrato. Con il trucco ”Adesso vi dico io che cosa c’è davvero dietro”.
Detto, anzi, scritto questo, alcuni di loro stanno sostenendo la richiesta di riaprire il caso portata avanti, per conto in particolare di una famigliare di una delle vittime, da un avvocato di Perugia.
Ed ecco nei corridoi dei bene informati la prova provata: l’identikit segnalato dall’avvocato perugino sarebbe quello del famoso rosso del Mugello il cui fascicolo sparì perché sarebbe stato un collaboratore del procuratore capo di Firenze Pierluigi Vigna. E quindi Vigna avrebbe insabbiato dando la colpa a Pacciani Lotti e Vanni. Manteniamo il condizionale, perché qui è d’obbligo. Però, francamente…
L’identikit dimostrerebbe, dunque, il depistaggio organizzato dal Capo della Procura di Firenze. Un’ipotesi che appare un tantino depistante e che, comunque, fu più volte smentita dalle indagini. Così come è palesemente sbagliata la pretesa somiglianza tra un altro identikit uscito dal mio archivio e il magistrato fiorentino, come suggeriva la scrittrice Gabriella Carlizzi, morta il 12 agosto 2010. La quale indicava anche in un famoso scrittore l’attinenza con quell’identikit. In realtà la somiglianza impressionante è con un altro personaggio che, inizialmente, finì perfino a processo. Per uscirne e sparire di scena: di lui non si è più saputo nulla. Per la filiera identikit- rosso del Mugello-collaboratore di Vigna-insabbiamento, qualcuno scaltramente parla di elementi contenuti negli archivi della Procura della Repubblica. C’è un però: come fa a dirlo non essendo possibile accedere ai suddetti archivi della Procura?
Ma chi è ‘sto rosso del Mugello? Un nickname che serve a scagionare il contadino di Mercatale e i suoi compagni di merende? Bisognerebbe fare una chiacchierata con un altro avvocato, che, per adesso, chiede di non fare il suo nome ma che, se e quando, autorizzerà a farlo, faranno tutti un salto sulla sedia. Lui è tra i pochi titolati a spiegare chi fosse Pacciani e se c’entrasse o meno con i sette duplici omicidi che hanno insanguinato la Toscana tra il 1974 e il 1985. Io poi avrei, per lui, una domanda che mi ronza in testa. Ma davvero Renato Malatesta, che Il 24 dicembre 1980 fu trovato impiccato nella stalla dell’abitazione di Via di Faltignano, si è suicidato? O, piuttosto, è stato ucciso perché dava fastidio a certi giochini?
Marco Gregoretti