Qui a seguire un mio articolo di due anni fa per il mensile che dirigevo, Nuova Cronaca. È la storia di Mithun Rossetti la cui morte, il 7 agosto 2016, di cui io cominciai a occuparmi pochi mesi dopo per la trasmissione di Rete 4 Quarto Grado, venne attribuita a un suicidio. Ma suicidio non è stato… Ecco indizi e prove
MG
In Contrada Camporota di Treglia, a Porto Sant’Elpidio, nelle Marche, in una villetta danneggiata dal terremoto, vivono due genitori, Lorena Poddine e Sergio Rossetti, e una sorella più giovane, Putrika Rossetti, che non hanno alcuna intenzione di mollare. Il muro di gomma non li spaventa: vogliono sapere la verità. Vogliono sapere come e perché è morto il loro adorato Mithun, studente di informatica a Camerino, 26 anni, di origini indiane, adottato il 31 agosto 1994, quando aveva meno di quattro anni. La mattina del sette agosto 2016 lo hanno trovato appeso a una corda con i piedi che quasi toccavano per terra all’interno di un casolare collocato in una tenuta privata. «Si è suicidato» dissero i Carabinieri e il magistrato di turno dopo una sommaria analisi e senza neanche aver misurato la temperatura basale della vittima. Tanti erano gli elementi, praticamente tutti, che rendevano poco credibile l’ipotesi del suicidio. Eppure investigatori e inquirenti respinsero incomprensibilmente ogni richiesta degli avvocati della famiglia Rossetti, negando all’avvocato Federico Valori, che ha preso particolarmente a cuore la vicenda, perfino l’accesso ad alcuni atti. Quando la morte di Mithun stava per essere definitivamente archiviata come atto volontario, per le pressioni della stampa e della trasmissione di Rete 4 Quarto Grado, venne concessa una proroga di indagini di sei mesi. Ma, giorno dopo giorno, famiglia e legali continuarono a scontarsi con il muro di gomma. Fino all’archiviazione definitiva: Mithun si è tolto la vita. Se qualcuno davvero lo ha ucciso, però, ha commesso il clamoroso errore di pensare che la questione si sia chiusa così. «Eh no!!!» dice a Nuova Cronaca Lorena Poddine, la mamma «hanno fatto male i loro conti». Ed ecco la bomba: l’avvocato Valori ha presentato al Tribunale di Fermo regolare denuncia per omicidio. Per ora contro ignoti, anche se, in via confidenziale, fa capire di avere dei sospetti molto precisi.
D’altronde nulla torna in questa triste storia dove un ragazzo felice, che amava i genitori e la sorella, con tanti amici, studioso e leale, è stato strappato a una vita che gli sorrideva
La telefonata che non doveva arrivare
Alle 5,19 del sette agosto 2016 squillò il telefono nella piccola villetta della famiglia Rossetti. Furono i Carabinieri a tirare giù dal letto Lorena: «Signora abbiamo trovato una Panda bianca. È quella di suo marito. È ferma in una rotonda di Porto Sant’Elpidio. Ha avuto un incidente, ma non c’è nessuno». I genitori e la sorella Putrika si precipitarono a Porto Sant’Elpidio: Mithun con la macchina del padre andato a ballare a una festa con 350 persone che si teneva alla discoteca Tropical, sul lungomare. Tutti cercavano il ragazzo. Anche lo zio. Sarà proprio quest’ultimo a trovarlo, alle 15,30, dopo oltre 10 ore di ricerche, in un casolare all’interno di una villa, in cima a una collina, appeso a una corda, morto. Che ci faceva lì?
La posizione del cadavere.
I Carabinieri sentenziano, senza neanche misurare la temperatura basale: suicidio. Molte cose non tornavano. Non si spiegava come mai Mithun si fosse suicidato con un cavo così rigido, perché le scarpe toccassero quasi per terra. E soprattutto non si capiva il motivo per cui la scala vicino al corpo fosse ancora in piedi. E perché Mithun che era uscito con i jeans, le scarpe e una camicia, indossava ora una tuta? «Era drogato e si è tolto la vita» dissero gli inquirenti. Peccato che le analisi abbiano escluso presenza di sostanze stupefacenti e quantità di alcol importanti.
I vestiti di Mithun
Un altro importante elemento che rende davvero difficile credere al gesto volontario è il ritrovamento degli abiti di Mithun. La mamma e il papà li hanno raccolti nel giro di alcune centinaia di metri, almeno a un chilometro dal casolare: le mutande erano in un parcheggio, la camicia in un altro parcheggio, i pantaloni sotto un cavalcavia. Non basta: dopo un mese appoggiati in bella vista su un muretto vennero ritrovati il portafoglio e il telefonino della vittima.
Una serie di whatsapp prima di morire
Alle cinque di mattina del sette agosto 2016 Mithun era ancora al Tropical. Un dipendente lo notò. E si accorse anche di una stranezza: vide che Mithun uscì e cominciò a correre su una strada parallela al lungomare. E poi c’è la testimonianza, importante, di Greta Frenquelli, anche lei quella sera nel locale dove si trovava Mithun. Non si conoscevano. Però socializzarono: Mithun le raccontò dei suoi studi universitari. Era allegro e sobrio. Poi Greta lo notò prendere dalla tasca il telefonino e vide che cominciò a chattare. Con chi si stava scrivendo? E chi e perché ha sovrascritto i messaggi rendendoli, così, illeggibili?
Il supertestimone
Giorgio Ercoli abita lungo il percorso che dal lungomare porta alla villa collinare dove è stato trovato il corpo senza vita di Mithun. Raccontò intervistato da Quarto Grado: «Esco vado a vedè e c’era questo ragazzo che s’era messo dei pantaloni tutti strappati. Ma che hai fatto? Che t’è successo?» Mithun gli rispose, stando al racconto di Ercoli, di essere stato rapito proprio da suo figlio. «Ma io c’ho due femmine» rispose il testimone. Ercoli confermò che Mithun era sobrio. Una domanda viene spontanea: perché non l’ha fermato? Perché non ha chiamato i Carabinieri? Erano le sei e mezza di mattina, non era ubriaco ed era ancora vivo.
No, Mithun non si è suicidato
I DUE VERBALI DI GIORGIO ERCOLI, IL “SUPERTESTIMONE”