Smettiamola di dare addosso agli adolescenti. Tremila quindicenni e sedicenni in streaming e alcune centinaia in presenza staranno ora elaborando i terrificanti scenari che hanno ascoltato ieri mattina all’Auditorium Sartori di Milano durante l’incontro “Codice Rosso i diritti delle vittime. Informare per prevenire”, organizzato dall’Associazione Senza veli sulla lingua, insieme all’Assessorato alla sicurezza e protezione civile della Regione Lombardia, guidato da Romano La Russa
Ho ascoltato in “religioso silenzio” le performance dei relatori, ogni tanto seduti sulla panchina rossa montata sul palco, vicino alla conduttrice Sonia Bedeschi. E mi sono detto, alla fine, che la morale del tutto potrebbe essere: dichiariamo incostituzionali le coppie, di qualsiasi genere siano. Quindi, non dimentichiamoci, che, in realtà, stiamo parlando di una quota sociale minoritaria. La maggior parte di chi si mette insieme si ama davvero. E si rispetta. La psicologa e criminologa mediatica Roberta Bruzzone ha decisamente catturato l’attenzione dei ragazzi e delle ragazze, che si sono anche confessati, sulla “quantità industriale di soggetti disturbati che ci sono in giro” capaci di scatenare la dopamina di chi crede di aver trovato il principe azzurro o la principessa rosa. E che, invece si trova incatenato e dipendente da un autentico bastardo che riesce a manipolare la partner fino a convincerla di andare a letto con tutti i suoi amici, o da una vera cattiva anaffettiva. Da due narcisisti border line. Paura! Anche perché, secondo la criminologa, proprio quando finisce la dipendenza inizia il rischio del femminicidio: tu sei mia. Zitta e mosca. Sennò ti ammazzo. E poi l’ammazza davvero: dall’inizio dell’anno è capitato a 103 donne. La domanda carica d’ansia è: ma posso innamorarmi? Boh. Sì perché poi arriva l’app non virtuale, delle cinque attività del “revengepornismo” (invia, consegna, cessione, pubblicazione, diffusione) e delle cinque D, (distrarre, delegare, documentare, dire, dare sostegno) da tenere a mente quando si viene molestate, di cui ha parlato, con empatica simpatia, l’avvocato penalista e vittimologa forense Alessia Sorgato. D’altronde è stata una ragazzina a dire senza timidezza: quando facciamo sesso giriamo i video. Che possono diventare strumento di ricatto. Come uscirne? Secondo la counselor Annalisa Cantù, rispettando la libertà, sebbene negli obblighi del contesto esistenziale: “Come sosteneva Jean Paul Sartre. Liberi, anche se non siamo stati noi a decidere di nascere, dove nascere, da chi nascere”. Tutto molto interessante. Sebbene, tra paura perfino di se stessi, manuale di volo e spumeggiante filosofeggiare, mi immagino che un po’ di mal di testa ai giovincelli in cerca di una prima (o seconda, terza, quarta…) volta, sia arrivato.
Però il problema esiste. Ed è grave e stringente. Botte, ricatti sessuali, annichilimento della persona, fino alla morte violenta, sono dietro l’angolo. Allora mi permetto questa riflessione. La prima volta che mi occupai di violenza contro le donne fu nel 1983, allorquando un gruppo di ragazzi della bassa Val di Susa, furono accusati e processati per aver stuprato in branco una ragazza. Non ricordo se e a quanto furono condannati, ma il processo si giocò tutto sugli atteggiamenti della vittima che provocava il maschio malato che era in loro. Da allora, in tutti i giornali e le reti televisive in cui ho lavorato, ho quasi sempre scritto lo stesso pezzo. Le cose non sono cambiate: dopo 40 anni il tema continua a essere la colpa della vittima. Codice rosso o non codice rosso. Chissà, forse bisogna fare come suggerisce Ebla Ahmed, presidente di Senza Veli sulla lingua: “Noi ci occupiamo di violenza a 360 gradi”. O come capitò a me, da persona e non da giornalista, nel 1978, a Roma: dare un cazzotto (o due? Non ricordo bene) a un ragazzo che stava menando la fidanzata. D’altronde solo due su dieci donne denunciano la violenza subita.
Marco Gregoretti