Il mio archivio di quasi quarant’anni di giornalismo non è molto ordinato, alcune cose le ho perse, altre se le sono mangiate i topi in cantina. A dire il vero, però, io so dove cercare quel che mi è rimasto e alla fine trovo sempre tutto, cosa che non è riuscita, per esempio a quelle mani disoneste che, con la scusa di un finto furto, nel 2005 non trovarono nel mio studio quel che volevano: c’era talmente tanto casino nei cassetti e sulla scrivania che andarono via a mani vuote. Vabbè. Perché dico questo? Perché oggi, cercando alcuni documenti sulle stragi, è saltato fuori un verbalino che avevo dimenticato di avere. È la deposizione resa da Antonio Buonvino, uno dei due lettighieri accorsi alle 9,06 della mattina del 23 luglio 1993 a Palazzo Belgioioso, a Milano, dove poco prima un colpo di pistola aveva ucciso Raul Gardini, il grande timoniere di Enimont e del Moro di Venezia. L’imprenditore che era riuscito a fare quel che nessuno, dopo la tragica fine di Enrico Mattei (in uno strano incidente aereo), aveva mai neanche osato pensare: la fusione di due giganti dell’energia. Gardini era tante cose: aveva rapporti stretti con il controspionaggio italiano e più volte aveva operato in Unione Sovietica per “l’esfiltrazione” dei dissidenti anticomunisti. Quella mattina doveva recarsi, accompagnato dal suo avvocato difensore Giovanni Maria Flick, che, dopo la morte del tycoon di Ravenna, diventò ministro di Grazia e Giustizia, a rendere una importante testimonianza alla Procura della Repubblica di Milano, sulle cosiddette tangenti rosse.
Un colpo alla testa glielo impedì. Ancora oggi si parla del suo suicidio. E, ancora oggi, nessuno crede a questa versione. Beh, in effetti, la deposizione del lettighiere resa in Questura, alle 14,15 di quel 23 luglio, è inquietante. Ecco la parte più “imbarazzante”: “La persona che mi ha aperto mi ha raccomandato di non toccare nulla perché era stato avvertito il 113. A costui ho chiesto che cosa era successo e lui mi ha risposto che si era sparato. Ho comunque riportato l’impressione che la persona da soccorrere (Raul Gardini, ndr) fosse ancora in vita in quanto ho notato che a un certo momento stesse boccheggiando…”. Ed ecco la parte forse più clamorosa:”Prima di uscire dalla stanza ho notato che su di un tavolino che si trovava sulla parete di fronte a quella del letto e posizionato alla sinistra della porta, vi era appoggiata una pistola semiautomatica…” E, infine, come se non bastasse:” Voglio precisare che non siamo riusciti a partire subito con l’autoambulanza in quanto una macchina ci ostruiva l’uscita”. In sintesi: 1) Gardini si è sparato in testa e poi si è alzato e ha sistemato la pistola sul tavolino di fronte al letto 2) Quando sono arrivati i soccorsi Gardini era ancora vivo 3) Una macchina ha impedito all’autoambulanza di uscire dall’ampio cortile di piazza Belgioioso per correre in ospedale. Così, tanto per ricordare. E per riflettere
Marco Gregoretti