Ma c’è un Cesare Lombroso anche per i cognomi? Perché a volte le coincidenze stupiscono davvero. Per esempio suor Monia, educatrice televisiva, nata a Nardò, vicino a Lecce, da due genitori giovani, di cognome fa Alfieri, come il Vittorio di “Volli, sempre volli, fortissimamente volli”. Non è dato sapere se la religiosa si sia mai fatta legare alla sedia per studiare, certo è che, a 48 anni, ha tre lauree: giurisprudenza, economia, teologia. E una quarta, scienze politiche, è in arrivo. Nel 2001, a Milano, ha preso i voti. Oggi è la legale rappresentante delle scuole Marcelline (10 istituti scolastici, 3000 allievi, 700 addetti) e insegna organizzazione gestionale delle scuole paritarie, presso la sezione Altis dell’università Cattolica. L’educazione sociale e culturale e la libertà sono passioni a cui ha dedicato la vita, come attestano anche i due libri che ha scritto: Andare a scuola e uscire imparati. Lezioni di libertà educativa (Il Timone editore) e, da poco, Il pluralismo educativo. Una scelta ancora possibile. Con prefazione di Dario Antiseri (Edizioni Scholé). “Abbiate ideali e studiate sodo per raggiungerli” esorta suor Monia i giovani con cui parla nel tour de force di incontri e di convegni in giro per il Paese. Parlare con lei, nei giorni delle baby gang, della violenza social, del bullismo straripante, del revenge porn, va fatto. Assolutamente. Lei lo sa, quindi ha accettato di incontrare il nostro giornale in una sala del convento delle Marcelline, dove vive, in centro a Milano. Ah, dettaglio da non trascurare: alle pareti due attestati di suor Monia, quello di Cavaliere della Repubblica, datato Roma 2 giugno 2022 e firmato da Sergio Mattarella e da Mario Draghi e l’altro, Medaglia d’oro di Benemerenza civica, ricevuto il 7 dicembre 2020 dalle mani del sindaco di Milano Giuseppe Sala. Ecco il suor Monia pensiero, che va ben oltre la cronaca.
D. Suor Monia lei parla di pluralismo educativo mentre noi facciamo lo slalom tra preadolescenti con il coltello, bulletti arroganti, baby gang, trapper che si sparano per la strada, qui, a Milano, non nel Bronx degli anni sessanta…
R Siamo di fronte a una violenza priva di contenuti. Senza neanche i presunti ideali dei terroristi degli anni settanta e ottanta. Per fronteggiare il bullismo e la violenza in genere è fondamentale il ruolo della scuola.
D. In che senso?…
R I professori si accorgono se un alunno è caduto nella trappola. Parlo per esperienza personale. Un allievo falsificò una mail. Risultava scritta da una ragazza che annunciava l’intenzione di uccidersi. Risalimmo all’autore. E così capimmo che le vittime erano due: la ragazza e lui
D Lui?
R Già…Si sfogò perché la mamma passava la maggior parte del proprio tempo a fotografarsi in costume da bagno per fare post sui social.
D. Di che cosa è figlia questa situazione?
R Del populismo e dell’assistenzialismo. Riforme come il reddito di cittadinanza e il bonus 110 per cento hanno fatto passare il messaggio che si può avere tutto senza muovere un dito. Se lavorando guadagno 800 euro e stando a casa a far niente ne intasco mille, perché dovrei sbattermi? Un regalo alla criminalità. I nostri giovani hanno dimenticato il capitale immateriale: la gavetta. Con la complicità dei social media, poi, non si è più sentita la necessità della competenza, della formazione, della conoscenza. Sapere e studiare non serve: “Che ci vuole a fare il ministro? Sono capace anche io”. Così il bibitaro diventa capo del dicastero degli affari esteri. Tanto uno vale uno.
D. Come è potuto accadere?
R. Tangentopoli ha raccontato una politica sporca. Ha preso il sopravvento il qualunquismo e il Parlamento è diventato una scatoletta di tonno. Noi eravamo abituati a statisti come Aldo Moro che ai suoi studenti offriva lezioni magistrali. È successo anche nella Chiesa, dove, invece, ci guidavano personalità come il Cardinale Carlo Maria Martini che riuscì perfino a trovare una cifra di dialogo con i violenti di allora, con i terroristi.
D. Siamo alla fine? Alla resa dei conti?
R Per fortuna la politica non è più un contenitore vuoto: ha fatto una inversione a u su populismo e assistenzialismo. Le istituzioni hanno recuperato autorevolezza e dignità. Stanno tornando i valori della conoscenza e della competenza. Degli uno vale uno nessuno ha stabilizzato il proprio percorso. Sono spariti tutti.
D. Chi è rimasto, invece?
R. Per esempio Giorgia Meloni, che può essere un modello per i giovani. È una donna in gamba che ha fatto tanta gavetta e infiniti sacrifici. Studia e approfondisce. Ne sono testimone diretta. Lo hanno capito sia Sergio Mattarella che Mario Draghi, a cui dobbiamo gratitudine per aver riaperto le scuole durante la pandemia. Mentre negli altri Paesi europei gli studenti continuavano in presenza, qui si compravano i banchi a rotelle. Riaprendo le scuole l’ex premer ha rotto il populismo ed evitato una guerra civile, secondo me.
D La scuola, dunque, è centrale, suor Monia…
R Eh sì, perché genera cittadini pensanti. I giovani devono essere aiutati a capire, per imparare a stare nella società. Io a loro parlo di democrazia, di libertà, di accoglienza. E di integrazione: chi arriva da lontano deve conservare la dignità, avere una casa, un lavoro. È in grado l’Italia? Assorbire i concetti di libertà e di responsabilità può dare una mano agli studenti a comprendere che gli immigrati non sono strumentalizzabili politicamente.
D. Abbiamo concluso. Ma chiudiamo con il suo cavallo di battaglia preferito, anche se il vino migliore bisognerebbe versarlo all’inizio… Il pluralismo educativo, concetto che ha dato il titolo al suo ultimo libro. Ce lo spiega?
R. L’Italia, nonostante due articoli della Costituzione (il 3 e il 30), è l’unico paese europeo in cui manca la libertà della scuola. Lo Stato, contrariamente agli altri dell’Unione europea, non garantisce la libera scelta tra pubblico e privato, con l’astuzia di far credere che la scuola pubblica sia gratuita. Non è vero: costa 8.000 euro all’anno a studente. In sostanza quanto la retta di una privata. È una vera discriminazione che favorisce i ricchi e che abdica alla funzione di ascensore sociale avuta nel dopoguerra. L’istruzione è per la politica un bacino elettorale, per i sindacati un volano per le tessere e per la burocrazia una mangiatoia. Io avrei un’idea
D. Quale?
R. Dare il 70% del costo annuo medio di ogni studente alle famiglie degli ottocentomila che frequentano le parificate. È un’operazione da 2,5 miliardi da distribuire in cinque manovre. Se lo Stato non lo farà ne dovrà stanziare 5, 6 per assorbire i ragazzi delle private e altri 6 per costruite nuove scuole. Inoltre aumenterà il divario tra sud e nord, già molto marcato: al nord avremo il pluralismo e al sud il monopolio educativo. Come nelle dittature.
D. Pensa che questa sua idea trovi accoglienza nel Palazzo?
R. Il governo in carica ha una sensibile predisposizione al salvataggio del pluralismo educativo. Ah, dimenticavo: se si riconoscerà la libertà avremo altri due vantaggi
D Quali?
R. Non ci saranno più classi con 30 alunni, ma di 15. E, quindi, sarà anche più facile controllare i casi di bullismo
Marco Gregoretti