È un pensiero che non l’abbandona mai: “Saman si poteva salvare. Ha fallito la legge di protezione”. Ebla Ahmed ha 44 anni, è nata a Firenze da madre cattolica e da padre, yemenita, mussulmano. A cinque anni con la famiglia si è trasferita a Londra dove è diventata avvocato. “Purtroppo papà è stato portato via, giovane, da un ictus. Ma da lui ho imparato il rispetto per la libertà. Anche di culto”. Dal 2013 Ebla è l’infaticabile presidente della associazione Senza veli sulla lingua, punto di riferimento e approdo sicuro di chi subisce violenza. “Soprattutto donne” dice a Libero “ma anche uomini etero e omosessuali”. Con la vice presidente Patrizia Scotto di Santolo, giornalista di Prato, e insieme alla consigliera Elisa Bonanno, imprenditrice, è impegnata h 24 a garantire assistenza legale gratuita, percorsi psicologici, mediazione linguistica, supporto economico alle vittime che trovano il coraggio di mettersi in contatto con le sedi dell’associazione, a Milano, in Brianza, in Toscana che affrontano, come prevede lo statuto, la violenza a 360 gradi. ,
Nell’area milanese la squadra è composta da 4 psicologi, 6 mediatori in tutte le lingue, sei avvocati (specializzati in problematiche civili, penali e legate all’immigrazione) e, cuore pulsante, da15 volontari tra cui alcune ex vittime, che si dedicano anche alla raccolta fondi. Insomma, una eccellenza che sta lavorando insieme all’assessorato alla sicurezza della Regione Lombardia a un fitto programma di incontri con gli studenti (il prossimo, sul Codice rosso, all’aula Testori il 17 novembre con la criminologa Roberta Bruzzone). Senza veli sulla lingua, unica in Lombardia, è stata chiamata a partecipare al tavolo tecnico della Commissione giustizia della Camera per il codice rosso e per il Ddl Roccella sulla violenza di genere, con l’avvocato Paola Paladina. Libero ha incontrato Ebla nel suo ufficio in centro, a Milano, all’interno di una famosa ex area dismessa. Tra libri, suggestioni urbanistiche e chiamate di donne che chiedono aiuto prima che sia troppo tardi, ecco che cosa ha detto al nostro giornale.
Domanda. Presidente, cominciamo da Saman. Lei è convinta che si potesse salvare. Perché?
Risposta. I servizi sociali non erano al corrente del fatto che l’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione consente di concedere, in caso di violenza, un permesso di soggiorno valido sei mesi senza produrre documenti, ma con una semplice mail inviata al Questore. E Saman tornò a casa proprio per prendere i documenti…”
Domanda. Voi siete in prima linea nel sostenere Legge Saman…
Risposta. E abbiamo ottenuto l’inserimento, nell’articolo 18, come violenza, del matrimonio forzato. Occorre, però, che gli addetti ai lavori, compresi i magistrati, facciano formazione.
D. Compresi i magistrati?
R. Eh sì! Le faccio un esempio. A Brescia una donna del Bangladesh ha avuto il coraggio di denunciare le nefandezze che subiva in casa. Il pubblico ministero ha liquidato la faccenda asserendo che in quel caso il matrimonio forzato era un fatto di cultura.
D. Sono aumentate le vittime che si rivolgono a voi?
R. In Lombardia, con il lockdown, siamo passati da affrontare 10 casi al mese a 40 nel 2020. Non potete immaginare che cosa succedeva dentro certe case. E, mi ascolti: la violenza contro le donne non ha ceto sociale. Ricchi, poveri… Il male non è classista
D. E nel 2023? Come siamo messi in Lombardia?
R. Nella nostra agenda ci sono 70-80 storie drammatiche. Il picco è dovuto principalmente ai matrimoni forzati. Saman insegna. Un fatto di cultura, secondo quel magistrato…Pensi che in Brianza c’è una intera comunità pakistana assoggettata a queste regole dove le donne vivono segregate in casa. Annichilite e spaventate
D. Lei è cresciuta in una famiglia dove il dialogo e il rispetto dell’altro erano dati di fatto. La aiuta ad aprire il cuore delle vittime?
R. Capiscono in fretta che di me si possono fidare. Una donna con due figli che ha subito 15 anni di violenza fisica, piscologica ed economica, come ne ho viste tante, diventa dipendente affettiva. Lui ogni volta le chiede scusa. La manipola. E lei ci casca. Qui la aiutiamo a capire che le botte non sono amore e neanche essere la serva di un uomo lo è. Quindi, anche per i figli, deve andar via. Prima che sia troppo tardi. Come spesso leggiamo sui giornali. Il codice rosso prevede che andrebbero ascoltate entro tre giorni dalla richiesta di aiuto. Invece a volte passa un anno. E nel frattempo può scattare il raptus che uccide
D. Scusi Ebla che cos’è quella foto con la t-shirt tutta insanguinata?
R. Me l’ha data una giovane donna di un comune dell’hinterland milanese. Era in crisi con il suo compagno. La picchiava violentemente davanti ai due figli piccoli. A martellate in testa! Un lago di sangue! I bambini hanno dovuto chiedere aiuto ai vicini. Lei è viva per miracolo. E i servizi sociali che cosa dicono? “Magari è un bravo papà”.(Post muto verrebbe da scrivere… Ndr)
D. Le donne sono sicuramente, per “cultura”, come sostengono in alcuni tribunali, per culto religioso, o per cattiveria tout court, le vittime predestinate. Gli uomini sono solo carnefici?
R. No. Si sono rivolti a noi anche partner di coppie omosessuali esausti e spaventati. Oltre ad alcuni uomini eterosessuali. Un adulto vittima di stalking da parte della ex amante, sceneggiatura di un film del terrore, e un adolescente albanese tenuto segregato in casa, come schiavo sessuale, da una donna molto ricca, milanese, sessantenne.
D. Si può uscire da queste spirali?
R. Intanto le vittime devono essere aiutate nel trovare la propria autonomia economica. Spesso non sanno dove andare e la casa rifugio è una galera. Non è giusto che passino da una reclusione a un’altra. “Ma se me vado, come faccio senza lui? Non sono capace a fare niente” ci dicono. Per questo stiamo studiando la realizzazione di un’impresa sociale: così possiamo loro offrire un lavoro. E poi serve inserire nei programmi scolastici, fin dalle elementari, materie come l‘educazione affettiva. Infine occorre adeguare le leggi sul revenge porn, oramai dilagante, sul bullismo, sulle baby gang: ci sono casi di figli che picchiamo le madri. Con l’avvocato Adalgisa Ranucci stiamo elaborando una proposta a favore delle vittime del bullismo. Se è tossico non è amore, ricordatevelo.
D. Abbiamo appena sfiorato qualche tema. Salutiamoci con uno slogan. Un suo slogan
R Più cultura e meno violenza
Marco Gregoretti