Quel terribile urlo che rompe il silenzio, come un clic, prima dell’esplosione: Allah u akbar! Allah è grande!, è ritenuto frettolosamente come la voce del martirio in nome della jihad, di un bene superiore. La realtà è un po’ diversa e il radicalismo islamico è lo strumento bellico di una strategia all’orientale finalizzata alla presa del potere. Con ogni mezzo. Il kamikaze, quello che ancora gran parte dei media definiscono “martire”, è un punto molto importante di una organizzazione militare, quella del Califfo, quella degli hashashin, quella della setta Arii. Gli eserciti con le divise occidentali combattono le guerre con ordigni, per esempio, a guida laser, l’esercito di Isis risponde senza divise e con una tattica di offesa che può arrivare ovunque distruggendo tutto ciò che trova: l’uomo bomba, la persona in simbiosi esogena con l’esplosivo. In tre parole: è un’arma intelligente. Il kamikaze, non ha un pensiero dialettico: è un uomo robot che usa il cervello solo per farsi saltare, ma che, nello stesso tempo, risponde a precise regole di ingaggio. Che sono, se osservate e combattute bene, come fanno solo alcune intelligence del mondo occidentale, il suo potenziale punto debole. Non si diventa kamikaze per caso. Quando l’Ayatollah Komeini, prima di prendere il potere facendo cadere lo Scia di Persia, addestrava i kamikaze nelle foreste vicino a Qom, come dimostrano alcuni filmati e alcuni rapporti “imboscati” e fatti sparire dai nostri servizi segreti tra la fine degli anni settanta e gli anni ottanta, dettava decaloghi molto precisi. Che, man mano, con l’evolversi delle esigenze e delle contromisure prese dagli “Infedeli”, si sono aggiornate tatticamente. Ecco come riconoscerlo
Giovane, profumato, indottrinato, presuntuoso e ben istruito.
Oggi, risulta da un rapporto che ho avuto l’opportunità di visionare con calma, il “martire di Allah”, ha un’età che varia dai 16 ai 30 anni (fatta eccezione per i bambini e le bambine nigeriane di Boco Haram), ma la percentuale maggiore, oltre il 60%, ha tra i 18 e i 23 anni. In massima parte i kamikaze sono o diplomati o laureati. La loro presenza sul posto può essere anticipata da forte profumo di aromi naturali ed essenziali di cui si cosparge dopo essersi tagliato i capelli, spesso a zero, e avere accuratamente tagliato la barba, tenuta molto lunga fino a prima del “sacrificio”. Pregano in modo ripetitivo in osservanza all’indottrinamento integralista e non hanno alcuna intenzione di parlare con qualcuno che li tratti in modo easy, alla pari
Determinato, nervoso, attento e strategico durante l’azione.
Il kamikaze arriva al bersaglio cercando un posto in mezzo alla folla posizionandosi dove le persone non possano facilmente mettersi in salvo, scappare. Procede con passo deciso, nervoso, teso ma vigile. La postura è quella di una persona che sta facendo qualche cosa senza avvertire il bisogno di cambiare idea ed è indifferente a chi eventualmente lo saluta o a chi, con tono deciso, gli intimi, per esempio, di fermarsi. Il busto è rigido e il passo è spedito, risoluto verso l’obiettivo
Vestiti come clown.
Portano cinture o giubbotti esplosivi sotto i vestiti, per cui l’abbigliamento può essere inadeguato al clima della stagione. Inoltre, proprio per coprire quello che nascondono, gli abiti rendono le corporature sproporzionate: busti robusti, gonfi, teste e piedi piccoli
Timer, esplosivi e chiodi. Come a Bruxelles.
Il terrorista generalmente stringe qualche cosa in mano: è il dispositivo a pulsante che serve a far esplodere il detonatore della cintura o del giubbotto spesso riempiti anche con chiodi, biglie e bulloni per rendere ancora più devastante l’effetto dell’esplosione. Ma non è sempre così: possono anche utilizzare strumenti a strappo, cerca persone, telefonini, congegni a trappola e, a volte, indossano uno zaino o portano valige e borse. Come previsto dalla guerra all’orientale e dalla guerriglia, il kamikaze non è mai solo. Lo accompagna a poca distanza un secondo uomo con un timer “di riserva”: se il terrorista venisse immobilizzato o ucciso o se avesse un ripensamento, il complice nascosto lo farebbe saltare per aria a distanza.
Un ragazzo di un liceo dove recentemente sono andato a parlare di terrorismo, mi ha detto: “ho paura che questi assassini mi facciano diventare razzista”.
Marco Gregoretti