Banche e terrorismo islamico e Stati canaglia. Uno scandalo dimenticato/1

Il Califfato Isis
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Ecco il primo di due articoli che feci per Milano Finanza nel 2008. Due puntate ravvicinate su un’indagine condotta in parallelo dalla Procura di Milano e da quella di New York che portò a seri provvedimenti dell’Amministrazione della giustizia degli Stati Uniti contro le filiali americane di due importantissimi gruppi bancari italiani. Segue la seconda
(MG)

La richiesta del procuratore distrettuale della contea di New York di assistenza giudiziaria ai colleghi italiani, datata gennaio 2008, era quella di agire velocemente e nella massima riservatezza, senza le solite fughe di notizie. In ballo c’erano (e ci sono) i flussi finanziari dai paesi canaglia alle banche degli Stati Uniti e, quindi, a possibili attività terroristiche. I magistrati di New York vogliono capire se e in che modo Iran, Sudan, Corea del Nord, Cuba e Siria riescono a effettuare e mascherare transazioni, bonifici, e altre operazioni in dollari proibite dalle restrizioni Ofac (Office of foreign assets control) imposte dopo l’11 settembre. Su questo punto le autorità americane non guardano in faccia nessuno, neanche ai paesi più amici: l’unica strada che le nazioni del cartello terrorista hanno avuto per aggirare le nuove leggi e nascondere il “mittente”, infatti, è stata quella di appoggiarsi in qualche modo a istituti insospettabili. Così, per 16 ore, dalle 10 di mattina del primo aprile alle due di notte, una decina di militari del nucleo della polizia tributaria della guardia di finanza insieme ad alcuni esperti informatici, hanno perquisito gli uffici principali milanesi di Banca Intesa San Paolo, in piazza della Scala, via Clerici e via Montebello. I finanzieri milanesi comandati dal colonnello Riccardo Rapanotti, su mandato del giudice Massimo Maiello, consigliere delegato all’esecuzione dell’ordinanza del 28 marzo, e tra i più quotati esperti di cooperazione giudiziaria internazionale, sono stati nella sede della Direzione istituzione finanziaria e nella direzione auditing interno del secondo gruppo bancario italiano. Hanno sequestrato documenti interni sui trattamenti di bonifici in dollari provenienti dai paesi nella lista nera, memorandum, mail, manuali di procedura, materiale informatico come folder personali e caselle. La documentazione è già stata riversata su supporti durevoli non riscrivibili, come cd e dvd. Maiello ha anche autorizzato la trasmissione delle carte al collega Alfredo Robledo, che, ai tempi dell’inchiesta Oil for Food, si guadagnò la stima delle autorità statunitensi. Quello stesso giorno, primo aprile 2008, mentre la guardia di finanza era nelle stanze milanesi di Banca Intesa-San Paolo, il procuratore distrettuale di New York faceva perquisire la sede newyorkese dell’Istituto di credito italiano.

Il capo di Isis Abu Bakr al - Baghadi
Il capo di Isis Abu Bakr al – Baghadi

Il sospetto degli investigatori americani era che dall’Iran del presidente fondamentalista Mahmoud Ahmadinejad, in particolare dalla banca iraniana Melli, arrivassero fiumi di dollari a istituti Usa mascherando la vera provenienza passando attraverso banche terze come, appunto, Intesa-San Paolo. Le autorità di New York sostengono che i funzionari di Intesa San Paolo avrebbero rimosso le informazioni della banca originaria al fine di aggirare i filtri e soddisfare la clientela iraniana. In sostanza qualcuno potrebbe aver usato procedure tipo: lasciare informazioni in bianco, alterare il dato in modo da far apparire la banca intermediaria come emittente, sostituire i nomi dei codici Swift dell’ente sanzionato. Le perquisizioni dello scorso primo aprile hanno dato già diversi riscontri: la documentazione sequestrata confermerebbe i sospetti americani su diverse operazioni della banca Melli. Non solo: le Fiamme Gialle hanno trovato anche prove che testimonierebbero l’esecuzione di transazioni finanziarie in dollari disposte dalle banche di un un altro Stato canaglia: la Siria di Bashar al Assad, spesso indicato come finanziatore di gruppi terroristici. Altri elementi di riscontro sono stati forniti dai sei funzionari e dirigenti di Intesa San Paolo interrogati dalla Guardia di finanza. “Mi risulta che il loro atteggiamento sia più collaborativo, stando a quanto mi dicono i militari della polizia tributaria che stanno svolgendo gli interrogatori”, dice a Milano Finanza/Mf il giudice Massimo Maiello. In effetti fino ad ora in Procura a Milano non è stato aperto alcun fascicolo, Banca Intesa- San Paolo è un elemento terzo. E starebbe collaborando già dalle ore della perquisizione. Non è escluso, infatti, che proprio sulle metodiche adottate per le transazioni provenienti dai paesi sgraditi all’amministrazione Usa ci fosse un dialogo, se non proprio una corrispondenza, tra Intesa- San Paolo e istituti di credito americani, visto che già nel 2005 alla grande banca italiana erano state bloccate alcune operazioni. Non solo negli uffici della banca perquisita erano al corrente, anche da notizie di stampa, che altre banche avevano avuto operazioni stoppate. Non è un problema di semplice soluzione: per una banca, nella legalità, la riservatezza e la tutela del proprio cliente è fondamentale. Inoltre le nuove normative internazionali post 11 settembre non sono ancora state metabolizzate e capite fino in fondo. E dunque, si chiede Banca Intesa- San Paolo: “ Come dobbiamo comportarci in questi casi?”. Una domanda accolta favorevolmente dalle autorità di New York che, infatti, non fanno le pulci sull’entità dei bonifici, ma vogliono capire come ha funzionato una prassi, un sistema. Qualcosa in più sapranno tutti, vertici della banca, autorità italiane e americane, quando, a fine maggio, i collaboratori del procuratore distrettuale di New York verranno a Milano. E leggeranno la relazione della guardia di finanza.
Marco Gregoretti

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